Posts written by Pierfrancesco:-)

view post Posted: 28/11/2014, 21:15 Iside-Maria-Sofia: una nuova preghiera - Antroposofia

Anima mia.

Anima mia, piena di grazia,

Michele è con te.

Tu sei benedetta

e benedetto è il frutto del tuo «Eccomi»: il Cristo in me.

Vergine Sofia, figlia del pensiero vivente,

scendi nel mio cuore,

ch'io possa esser degno

d'incontrar tuo Figlio tra le nuvole

mentre lavo i piedi dei miei fratelli.
e negli occhi dei miei fratelli.

Amen.



Edited by Pierfrancesco:-) - 1/1/2020, 21:16
view post Posted: 22/8/2014, 17:35 Deserto. Stati per esperimenti socialistici - Attualità
Per approfondire lil tema riporto un brano tratto da:
Rudolf Steiner - Riscatto dai poteri - L'enigma dell'europa centraletra Est e Ovest.

[QUOTE]

La «colpa» della guerra:
una domanda posta quattro anni dopo
Stoccarda, 21 Marzo 1921


Gentili convenuti, gentili commilitoni

La conferenza di oggi nasce da una domanda che mi è stata posta nella scorsa lezione del seminario di storia, sulla questione della colpa per la recente catastrofe bellica. Poiché l’argomento è così importante – anche dal punto di vista storico – non vi si può negare una risposta, per quanto è possibile in un ambito così ristretto, e con così poco tempo a disposizione.

Desidero premettere alcune osservazioni, in modo che sappiate come intendo affrontare la questione.

Non ho mai taciuto le mie opinioni su questo argomento, nelle ripetute conferenze che ho tenuto soprattutto presso il Goetheanum di Dornach. Né ho mai nascosto che, secondo me, queste opinioni sono quelle che più di tutte dovrebbero essere comunicate al mondo intero.

Non sono dell’idea che in questa questione così importante il giudizio obiettivo dovrà essere lasciato alla storia, come oggi si va continuamente ripetendo, e che soltanto in futuro si potranno giudicare obiettivamente questi eventi. Col passare del tempo, e soprattutto col perdurare dei pregiudizi, andranno perse tante possibilità di giungere a un giudizio valido su questa questione, quante forse sarebbe possibile acquisirne. Dico espressamente «forse», perché io stesso non credo affatto che si possa arrivare, in futuro, a un giudizio migliore di quello che si può già dare oggi. Questa era la prima cosa che volevo dirvi.

L’ho voluta dire per via di quegli attacchi – non intendo ora qualificarli in alcun modo – che in Germania vengono rivolti alla mia attività politico-culturale da quel gruppo che si può definire «pangermanico». Da questo gruppo devo aspettarmi che qualunque cosa io dica venga interpretata nel peggiore dei modi.

Del resto non credo sia necessario usare molte parole per difendermi da questi attacchi. La sciocca accusa che mi si rivolge, di intraprendere chissà cosa di antigermanico, cade da sola davanti al fatto che proprio durante la guerra il «Goetheanum» è stato costruito nell’estremità nordoccidentale della Svizzera, simbolo di ciò che, attraverso la vita spirituale tedesca, avrà da compiersi non solo all’interno della Germania, ma nel mondo intero!

Gentili convenuti, una simile testimonianza al germanesimo non necessita, credo, di spendere tante parole per confutare accuse malevole – poiché soltanto di accuse malevole si tratta.

L’altra cosa che voglio dire è che ho sempre avuto cura di non influenzare in alcun modo il giudizio di chi mi ascolta, e anche oggi cercherò di fare altrettanto – naturalmente è possibile riuscirci solo in parte, dovendo essere sintetici. Ogni volta che ho presentato un fatto o una circostanza, ho mirato a fornire gli elementi fondamentali affinché ognuno potesse formarsi un giudizio autonomo su questo o quell’argomento.

Così, come in tutti i campi della scienza dello spirito non anticipo mai un giudizio, ma cerco solo di raccogliere il materiale perché si possa arrivare a costruirlo, allo stesso modo voglio procedere con questi fatti della storia del mondo esteriore.

Entrando nel merito con un’osservazione, mi sembra che le discussioni odierne sulla «questione della colpa» siano più o meno tutte basate su premesse completamente prive di fondamento.

Con simili premesse si può arrivare indifferentemente a dire che tutte le colpe della guerra ricadono su Nikita, lo strano re di Montenegro, oppure che Helfferich è un uomo eccezionalmente saggio, o che l’allora grasso signor Erzberger, durante la guerra, non si è dato da fare in modo ambiguo, intrufolandosi in tutti i sotterranei della politica europea. Insomma, credo che con tali argomenti si può dimostrare tutto e niente.

Credo invece che sia del tutto giusto quello che di recente ha detto l’attuale ministro degli esteri tedesco Simons* nel suo discorso di Stoccarda, e cioè che è necessario trattare seriamente la questione della colpa – voglio solo aggiungere che questo dovrebbe anche succedere per davvero. Limitarsi a sottolineare che una cosa è necessaria non significa che si sta facendo quel che va fatto, quel che sarebbe necessario fare.

Che sia indispensabile esaminare la questione della colpa, gentili convenuti, lo dimostra il fatto che, in queste ultime infauste trattative di Londra, l’uomo di Stato più scaltro del presente, il signor Lloyd George, ha posto come premessa – come qualificarla? Si è davvero in difficoltà quando si cercano le parole giuste per definire i fatti dei giorni nostri – come dicevo, Lloyd George ha posto questa premessa: «Tutte le nostre trattative si fondano sul presupposto che secondo gli alleati dell’Intesa la questione della colpa è già decisa».

Ora, gentili convenuti, se tutte le possibili trattative presuppongono che la questione della colpa sia già decisa, quando non lo è, allora a maggior ragione bisogna cominciare a porla sul serio all’inizio dei negoziati, e trattarla con altrettanta serietà.

Va sottolineato chiaramente che, in fin dei conti, rispetto alla questione della colpa non c’è stato nessun fatto concreto, soltanto una singolare decisione da parte delle potenze vincitrici, basata in tutto e per tutto sulle regole attuali della politica mondiale: non su una valutazione obiettiva dei fatti, ma semplicemente su un diktat dei vincitori.

Per sfruttare appieno la vittoria, i vincitori hanno bisogno di dettare al mondo che la colpa della guerra è tutta della parte nemica. Non si può infatti sfruttare la vittoria nel modo in cui vorrebbero gli Stati dell’Intesa, e cioè – ammettiamolo pure – come secondo loro va fatto, se non gettando tutta la colpa sugli altri. Capirete bene che i vincitori non potrebbero agire come agiscono, se si dicesse: i vinti non vanno giudicati come sono stati giudicati durante la catastrofe della guerra. Di questo non si è mai parlato, e tutto il resto è soltanto letteratura, o nemmeno quello.

Il punto è che per risolvere la questione della colpa non è stato fatto niente all’infuori del diktat dell’Intesa, e, incomprensibilmente, è accaduto ciò che in fondo non avrebbe mai dovuto accadere: che questo diktat è stato accettato dai vinti, cosa di cui non ci si potrà mai rammaricare abbastanza! E non possiamo dire: abbiamo dovuto firmare per evitare di accrescere la nostra sventura.

Chi vede bene la realtà sa che l’attuale situazione mondiale può essere superata solo con la verità, e con la volontà di arrivare alla piena verità. Può anche darsi che all’inizio ciò conduca a circostanze tragiche – oggi però non c’è nessun altro modo per superare questa situazione.

I tempi sono troppo seri, richiedono decisioni troppo grandi, perché le si possa affrontare con qualcosa di diverso dalla piena volontà di verità.

Sottolineo che in così poco tempo non mi è possibile presentare l’argomento in modo che il contenuto delle mie frasi possa anche apparirvi pienamente convincente; ma almeno nelle sfumature, nel modo in cui cercherò di esporre le cose, nel come le presenterò, voglio darvi una base perché possiate formarvi un giudizio su questa questione. L’esperienza di lunghi anni e l’osservazione attenta del corso della storia mondiale mi hanno portato a constatare che, soprattutto nel popolo anglosassone, e in particolare in certi suoi gruppi, c’è una visione della politica in un qualche senso grandiosa.

Certi burattinai, se si può chiamarli così, hanno una visione della politica, della politica anglosassone, che potrei riassumere sostanzialmente come segue.

In primo luogo, dietro ai politici che agiscono pubblicamente – e che a volte sono solo uomini di paglia – c’è un buon numero di personaggi imbevuti dell’idea che la «razza anglosassone», per via di certe forze evolutive, abbia la missione di esercitare un vero e proprio dominio sul mondo, nel presente e nel futuro, per molti secoli ancora.

Questa convinzione è profondamente radicata nelle personalità che guidano la razza anglosassone, come lo è una certa concezione materialistica della strategia da adottare nel mondo. È radicata in loro in modo talmente forte, da poter essere paragonata all’impulso interiore che il popolo ebraico aveva, nell’antichità, per la sua missione terrena. Certamente gli ebrei dei tempi antichi avevano un’idea più morale, teologica, della loro missione, ma in realtà negli odierni leader della razza anglosassone l’intensità di questa visione è identica a quella degli antichi ebrei.

Abbiamo dunque a che fare innanzitutto con questo principio, con questa particolare concezione della vita che è propria del popolo anglosassone, dei suoi rappresentanti, e che si manifesta anche all’esterno. La maggioranza di costoro pensa che si debba sempre agire secondo quest’impulso verso il proprio compito mondiale, e che non si debba rinunciare a niente che vada in quella direzione.

Essi inculcano questa convinzione nell’animo dei politici di secondo piano – tra cui ci sono pur sempre i segretari di Stato – in un modo che, bisogna pur ammetterlo, è intellettualmente grandioso. Non credo che una persona all’oscuro di questo fatto possa essere in grado di capire il corso degli eventi mondiali dei tempi presenti.

Il secondo motivo, gentili convenuti, per cui si conduce una politica mondiale così funesta e distruttiva per l’Europa Centrale, è la lungimiranza! Dal punto di vista anglosassone questa è una politica di ampio respiro, lungimirante appunto, compenetrata dalla fede che a governare il mondo siano forze planetarie, e non le piccole forze pratiche da cui i politici presuntuosi si fan guidare così spesso. La politica anglosassone è grandiosa nel senso che conta su forze storiche mondiali, anche quando prende singoli provvedimenti di natura pratica. Inoltre al suo interno sanno che la questione sociale è una forza storica di portata mondiale, che deve trovare sfogo in ogni caso. Non c’è un solo personaggio che conta, nella classe dominante anglosassone, che non abbia freddamente e lucidamente pensato che la questione sociale deve assolutamente trovare uno sbocco.

Poi però aggiungono: essa deve venire alla ribalta, ma non a spese della missione del popolo anglosassone, della missione dell’Occidente. Lo dicono quasi con queste precise parole – le abbiamo udite spesso –: «Il mondo occidentale non è fatto per essere rovinato da esperimenti socialisti. Per questo ci sono i Paesi dell’est», e sono animati dall’intento di fare dei Paesi dell’est, e in particolare della Russia, un campo per esperimenti socialisti.

Di questa mia opinione ho trovato riscontri già a partire dagli anni ’80 del secolo scorso – forse si può risalire ancora più indietro nel tempo, al momento non posso affermarlo. Già allora nel popolo anglosassone c’era chi, guardando le cose con freddezza, sapeva che la questione sociale doveva per forza irrompere all’esterno, ma si voleva impedire che ciò portasse alla rovina la civiltà anglosassone. Pertanto la Russia sarebbe diventata il Paese cavia per l’esperimento socialista. In base a questo orientamento è stata indirizzata tutta la politica, a quest’obiettivo si è teso con estrema determinazione.

Tutta la questione balcanica fu già trattata da questo punto di vista – compresa l’annessione della Bosnia e dell’Erzegovina all’ingenua Austria con il Trattato di Berlino. Da parte del mondo anglosassone fu trattato in quest’ottica anche l’intero problema turco.

Si sperava che gli esperimenti socialisti, se si fossero svolti come avrebbero dovuto svolgersi, – e cioè con la classe operaia fuorviata dai principi marxisti o simili –, sarebbero stati una bella lezione di nichilismo e distruttività. Sarebbero serviti da insegnamento all’intero mondo dei lavoratori, che avrebbe imparato che così non si arriva a nulla.

In questo modo si pensava di proteggersi, mostrando all’Oriente che il socialismo deve diffondersi secondo i dettami del mondo occidentale
.

Vedete, questi fatti, che in futuro potranno essere comprovati storicamente, stanno da secoli alla base della situazione europea, e di quella del mondo in generale. E qui osserviamo elementi della storia mondiale su un piano già più vicino al mondo fisico.

Ci basta leggere con attenzione quel che trapela dai discorsi del visionario Woodrow Wilson, il quale, proprio per questa sua caratteristica, è considerato in senso moderno uno storico competente. Noi però lo citiamo solo a dimostrazione di quanto sto dicendo.

Tutta la storia moderna mostra che l’Oriente, anche se normalmente non ci si fa caso, è stato considerato una specie di campo sperimentale per l’intera civiltà europea. All’osservatore imparziale non resta che constatare che l’Inghilterra è stata in un certo senso favorita nella sua missione dai recenti avvenimenti mondiali. E questo risale a molto tempo fa, a quando fu scoperta la possibilità di raggiungere l’India via mare.

Si può dire che è da questo punto che, per vie indirette, discende tutta l’impostazione della politica inglese moderna. Ci vorrebbero molte ore per trattare l’argomento, ma poiché sto rispondendo a una domanda posso solo accennare schematicamente a quello che io chiamo il tracciato della corrente mondiale, incanalato dalla missione inglese. Lo vedete qui: parte dall’Inghilterra e attraverso l’Oceano Atlantico passa tutt’intorno all’Africa, per arrivare in India. Osservando questa rotta si può imparare moltissimo: lungo questa direttrice lotta l’Inghilterra per via della sua missione, e lotterà fino all’ultimo sangue, se necessario anche contro l’America.

L’altra direttrice altrettanto importante è quella terrestre, che nel Medioevo ha giocato un grande ruolo, ma in seguito alla scoperta dell’America e alle conquiste turche in Europa è diventata inutilizzabile per il moderno sviluppo economico.

Gentili convenuti, tra queste due direttrici, però, ci sono i Balcani, e rispetto al problema balcanico la politica anglosassone procede in modo da scartare del tutto questa seconda direttrice, e favorire, per lo sviluppo economico, soltanto la rotta marittima.

Questo, per chi vuol vedere, può spiegare tutte le strategie che si sono susseguite dal 1900 fino alle guerre balcaniche che hanno preceduto di poco la cosiddetta guerra mondiale, e perfino il trattamento riservato all’Europa Centrale dall’Occidente in tutte le questioni che sono sorte dall’inizio del secolo, se non già da prima, fino al 1914.

C’è anche qualcos’altro: i rapporti tra Inghilterra e Russia. Ovviamente la rotta via mare (intorno all’Africa) non interessa la Russia, ma è la Russia a interessarsi all’altra direttrice, quella di terra. Come abbiamo visto, l’Inghilterra ha progetti speciali per la Russia, cioè l’esperimento socialista, e deve quindi impostare tutta la sua politica in modo che da un lato non si sviluppi la linea economica per via di terra, e dall’altro che la Russia si trovi tarpata e isolata, e possa offrire il terreno all’esperimento socialista.

Gentili convenuti, in sostanza la situazione del mondo era questa. Tutto ciò che è stato fatto fino al 1914 sullo scacchiere della politica internazionale è stato influenzato da queste tendenze mondiali. Come ho già detto, ci vorrebbero molte ore per entrare nei dettagli, ma ho voluto almeno farne un accenno.

A fronte di questo fatto ce n’è un altro, che ho messo in evidenza quando, nel 1919, ho scritto il mio Appello al popolo tedesco e al mondo civile: che nell’Europa Centrale ci si è sempre rifiutati di credere che è necessario arrivare a una concezione della politica fondata sui grandiosi impulsi storici. Purtroppo all’interno del continente europeo non c’è stato qualcuno disposto a considerare le misure da prendere nell’ottica di simili tendenze lungimiranti, con le quali si ha a che fare.

Vedete, la gente viene poi a dirti: devi fare una politica pratica! L’uomo politico deve essere pratico! Consentitemi di spiegarvi con un esempio che cosa significa veramente ‘pratica’ per queste persone.

Molti dicono: quello che fanno quelli là di Stoccarda, con la loro «triarticolazione», col loro Kommender Tag (Der Kommende Tag era una Società fondata dal gruppo di antroposofi intorno a Steiner nel 1920 in Svizzera, che raccoglieva più imprese gestite secondo i principi della triarticolazione, [Ndt]) eccetera, sono tutte sciocchezze. Sono tutti idealisti inetti alla pratica.

Ora, gentili convenuti, immaginate questa gente e pensate come potrebbe essere se, diciamo così, o almeno speriamolo, avremo avuto fortuna, e avremo compiuto e costruito qualcosa che ha il suo posto nel mondo. Allora vedrete che queste stesse persone verranno da noi e vorranno aggregarsi a noi, e sfruttare le loro «conoscenze pratiche» per diffondere quello che prima consideravano roba da idealisti. Allora sì che si realizzerebbe qualcosa di pratico! Per la gente questa è l’unica cosa che conta.

Ma si deve sempre guardare all’origine delle cose, e spesso ciò che gli inetti pratici chiamano non pratico è proprio quello che manca alla base delle loro prassi. Semplicemente, queste persone non vogliono calarsi dentro i fatti, e sono perciò inadeguate a riconoscere quello che accade in realtà.

I politici dell’Europa Centrale si sono attenuti a una prassi più o meno simile; non si può qualificarla diversamente, e dobbiamo riconoscere che, per l’Europa Centrale, arrivare a questo annullamento, al punto zero di questa politica, quando le cose precipitavano verso il momento decisivo, è stata una tragedia.

Si tratta quindi di comprendere che è assolutamente necessario per noi, nell’Europa Centrale, riuscire a innalzarci a un punto di vista politico di ampio respiro, fondato sulla realtà dello spirito. Senza di questo non possiamo uscire dal caos del presente. Se non ci decidiamo a farlo, continuerà ad accadere sempre e soltanto quello che stiamo vedendo, quello che sta accadendo oggi.

Gentili convenuti, sono dell’idea che se continueremo a basarci su queste vecchie impostazioni, come facciamo ora, non riusciremo affatto a risolvere i problemi politici attuali, che sono così intricati e confusi.

E anche se i politici dell’Intesa si fossero riuniti – vi dico la mia sincera opinione – e avessero escogitato, guidati da Lloyd George, quelle condizioni di pace che hanno presentato al mondo prima della conferenza di Londra, ma per un caso qualsiasi, avessero perso le carte con sopra le loro condizioni di pace e le avessero addirittura dimenticate – naturalmente è un’ipotesi assurda, ma la faccio per mostrarvi un fatto. Mettiamo che Simons avesse ricevuto per posta queste carte, e avesse posto le stesse condizioni, scritte con le medesime parole, come se fossero richieste della Germania: sono convinto che sarebbero state respinte con la stessa indignazione con cui sono state respinte le vere proposte di Simons alla conferenza di Londra. Non si tratta infatti di problemi senza soluzione, ma del modo in cui li si rigira a parole, mostrandoli in una prospettiva da cui sembrano irrisolvibili. Questo dev’essere assolutamente detto a chi cerca la verità in questo campo.

Scendiamo adesso per così dire di un piano, verso gli avvenimenti puramente fisici.

Sapete che l’inizio esteriore della guerra si è avuto con l’ultimatum alla Serbia. Delle sue cause e di tutti gli avvenimenti che lo hanno preceduto ho già parlato spesso, e voi potete facilmente informarvi, così oggi ne parlerò per sommi capi. Dall’ultimatum austriaco alla Serbia è iniziato tutto il ciclo, tutta la concatenzione degli imbrogli.

Ebbene, chi conosce la politica austriaca, e soprattutto come si è svolta nella seconda metà del diciannovesimo secolo, sa che questo ultimatum dell’Austria alla Serbia è stato sì un azzardo bellico, ma in seguito al tipo di politica che era stata condotta, era diventato una necessità storica.

Non si può dire altro che questo: la politica austriaca si svolgeva su un territorio su cui, a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, era semplicemente impossibile continuare a far pasticci adottando i vecchi principi di governo. Questa espressione non l’ho inventata io, ma l’ha detta in Parlamento il Conte Taaffe in persona – spesso in Austria il suo nome viene scritto così: Ta-Affe (Affe in tedesco vuol dire scimmia, [NdT]). Egli ha detto: «Non possiamo far altro che continuare a far pasticci.»

In Austria, invece, proprio per via della sua complessa situazione, era indispensabile arrivare a una chiara risposta a questa domanda: in uno Stato così composito, in cui nelle questioni nazionali si riverberava l’effetto della vita culturale delle diverse nazionalità, come avrebbero dovuto essere studiate queste questioni? Questo è un problema che la politica austriaca in realtà non si è mai neanche posta; tanto meno poi lo ha studiato.

E se guardo l’insieme dei fatti con l’intenzione precisa di valutarli, e non di raggrupparli secondo propensioni personali, né di estrapolarli dal contesto storico esteriore, i fatti avvenuti molto prima dell’ultimatum alla Serbia mi appaiono ancora più decisivi del risultato finale in cui sono culminati, e cioè l’uccisione dell’erede al trono austriaco Francesco Ferdinando. Guardo al periodo che va dall’autunno del 1911 fino al 1912, quando nel parlamento austriaco si svolsero dibattiti sulle condizioni economiche del Paese, seguite con attenzione anche dalla gente comune.

Furono chiuse molte fabbriche perché la politica austriaca si trovava alle strette e cercava invano nuovi mercati, ma essendo incompetente in materia, non riuscì a trovarli. Di conseguenza nel 1912 molte imprese chiusero e, per di più, i prezzi aumentarono enormemente. A Vienna e in altre zone dell’Austria ci furono tumulti contro il carovita e nei dibattiti su questo tema, in cui nel Parlamento il deputato Adler ebbe tanta parte, si giunse al punto che, dalla tribuna, furono sparati cinque colpi all’indirizzo del Ministro della Giustizia.

Era il segnale che in Austria non si poteva più andare avanti con il vecchio sistema economico, che non era possibile tenere in vita l’economia in quel modo. Cosa disse allora il ministro Gautsch nel suo discorso? Disse che si doveva adoperare la massima energia – vale a dire applicare le vecchie regole dell’amministrazione austriaca –, per soffocare l’agitazione contro il carovita. Questo vi dimostra quale fosse lo stato d’animo dei governanti.

La vita culturale si manifestava nelle lotte tra nazionalità. La vita economica si era infilata in un vicolo cieco – sono fatti che potete studiare in tutti i dettagli –, ma nessuno aveva cuore e senno per capire che era necessario studiare le condizioni a venire della vita culturale e dell’economia, accantonando le vecchie idee sullo Stato quali si manifestavano proprio in Austria.

In Austria si era presentata la necessità di intraprendere lo studio della storia mondiale in modo da giungere alla triarticolazione dell’organismo sociale, come risulta semplicemente dai fatti descritti. Nessuno però volle farlo, e poiché nessuno volle pensarci, le cose andarono come sappiamo.

Vedete, basta far luce con pochi cenni sugli avvenimenti verificatisi in Austria all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso, e negli anni che seguirono, sulla scia del Congresso di Berlino, per vedere quali forze fossero in gioco. All’inizio degli anni ’80, anzi già da prima, la situazione era arrivata a tal punto che il deputato polacco Otto Hausner pronunciò pubblicamente, in Parlamento, queste parole: «Se in Austria continueremo a lavorare con questo tipo di politica, fra tre anni non avremo più alcun Parlamento, ma qualcosa di totalmente diverso». Intendeva il caos.

Certo, in questo genere di discussioni si tende a esagerare, si usano iperbole. Però la profezia di Otto Hausner, anche se non nei tre anni immediatamente successivi, si avverò a distanza di qualche decennio.

E potrei fare innumerevoli citazioni tratte proprio dai dibattiti parlamentari austriaci, per mostrarvi come in Austria anche nel settore agricolo stessero nascendo problemi terribili.

Ricordo molto bene che qualche politico, per giustificare la costruzione della ferrovia dell’Arlberg, affermò che quest’opera si era resa necessaria perché era chiaro che l’agricoltura austriaca non sarebbe sopravvissuta se dall’Occidente avesse proseguito, inalterata, l’ingente esportazione di prodotti agricoli. Ovviamente il problema non era stato affrontato nel modo giusto, ma la previsione era azzeccata.

Se ricordassi i fatti uno ad uno – se ne potrebbero citare centinaia –, vedreste come ormai, nel 1914, l’Austria fosse giunta al punto di dover dire: o noi rinunciamo come Stato, perché non possiamo più andare avanti così, e ammettiamo di essere perduti; oppure tentiamo un azzardo che dia prestigio alle classi dominanti, e ci permetta di uscire da questo vicolo cieco.

Chi pensava che l’Austria avrebbe dovuto continuare a esistere – e vorrei sapere come un uomo di Stato austriaco avrebbe potuto rimanere tale, se non fosse stato di quest’avviso – non poteva far altro che accettare un’idea del genere. Non si poteva far altro che tentare una mossa azzardata. Magari, da altri punti di vista, potrebbe sembrare che ci fosse un’altra soluzione, o altre ancora; queste cose vanno però comprese nel contesto delle forze storiche che agivano allora.

Questo dunque era il punto di partenza in Austria. Consideriamo ora il punto di partenza in un altro luogo: veniamo a Berlino. Per darvi un’idea di quello che succedeva a Berlino, inizierò col raccontarvi un fatto, un fatto puro e semplice, in modo del tutto obiettivo – vi prego di non volermene, se anche in questo caso mi atterrò all’obiettività più stringente. Nel 1905 fu nominato Capo di Stato Maggiore l’allora generale von Moltke (che poco dopo ottenne il grado superiore di Generaloberst), l’uomo sulle cui spalle nel 1914, a Berlino, sarebbe ricaduto il peso della decisione fra la pace e la guerra. Al momento della nomina si svolse la scena che sto per descrivervi – cercherò di essere breve. Il Generale von Moltke era convinto di non poter accettare il gravoso incarico di Capo di Stato Maggiore, se prima non ne avesse discusso le condizioni con il Kaiser. La discussione si svolse all’incirca così. Fino a quel momento, per via dei rapporti gerarchici fra i generali e il Kaiser (che era il Comandante Supremo delle Forze Armate), durante le grandi manovre il Kaiser comandava sempre uno degli schieramenti – l’avrete senz’altro già letto da qualche parte – e saprete anche che vinceva sempre.

Nel 1905 il generale von Moltke pensò che non avrebbe di certo potuto accettare la responsabilità della nomina a Capo di Stato Maggiore a quelle condizioni. La situazione poteva farsi seria: che piega avrebbe preso una guerra, se si dovevano condurre le manovre in modo tale da far vincere per forza il Kaiser, in qualità di Comandante Supremo?

Così il generale von Moltke decise di esporre il suo timore al Kaiser senza mezzi termini, in modo aperto e onesto. Questi si stupì moltissimo di sentirsi dire dall’uomo che avrebbe dovuto divenire il suo Comandante di Stato Maggiore che non poteva accettare l’incarico, giacché lui, il Kaiser, non avrebbe saputo condurre una guerra se la situazione si fosse fatta critica. Von Moltke gli disse che bisognava prepararsi in modo che tutto funzionasse anche in un’evenienza simile, e che avrebbe accettato la nomina a Comandante di Stato Maggiore solo se il Kaiser avesse rinunciato al comando di una parte delle truppe durante le manovre.

Il Kaiser chiese: «Ma come? Allora io non ho vinto per davvero? Era tutto combinato?» Egli non sapeva affatto che il suo entourage aveva aggiustato le cose! E solo quando gli ebbero aperto gli occhi, capì che non si poteva continuare così. Anzi, dobbiamo riconoscere che accettò le condizioni di von Moltke con notevole larghezza di vedute – questo non possiamo tacerlo.

Gentili convenuti, vi ho esposto questi fatti per permettervi di formarvi un’opinione – consentitemi di aggiungere tra parentesi che ho buoni motivi oggi per non colorire queste storie, perché tra i presenti c’è una persona che in ogni momento può controllare se dico la verità. Dunque, dopo avervi raccontato tutto ciò, vi prego di considerare seriamente dov’è l’errore: se non è veramente strano che intorno al Comandante Supremo dell’esercito ci fossero dei personaggi con il loro seguito che, invece di parlare come il generale von Moltke nel 1905, anche dopo aver ricevuto un incarico agirono in modo diverso.

Oggi non è necessario dare a intendere al mondo che bisogna aspettare, per poter appurare i fatti obiettivamente. Si tratta solo di avere la ferma volontà di indicarli, questi fatti. E non c’è nemmeno bisogno di scervellarsi su una seduta del Consiglio della Corona, di cui si sa per certo che il generale von Moltke non fu informato; dalla fine di giugno del 1914 fino a pochi giorni prima dello scoppio della guerra si trovava infatti a Karlsbad per delle cure.

È importante ricordarlo perché, quando il discorso cade sui guerrafondai tedeschi, gentili convenuti, dobbiamo certamente dire che in Germania questi guerrafondai ci sono stati. Se poi si affrontasse il problema specifico di chi ha fomentato la guerra, ci si arenerebbe, se si volessero assolvere certi personaggi che ho menzionato prima.

E in fin dei conti, come no, anche a Nikita, il re del Montenegro, si possono attribuire pesanti responsabilità per lo scoppio della guerra. Ce lo dimostra il fatto che già il 22 luglio del 1914, durante una festa sfarzosa a Pietroburgo, alla presenza del Presidente francese Poincaré*, le due figlie di Nikita, queste donne diaboliche – perdonatemi l’espressione –, dissero davanti all’ambasciatore francese: «Viviamo un momento davvero storico! È appena arrivato un dispaccio di nostro padre, che dice che nei prossimi giorni scoppierà la guerra. Che gran bella cosa! Germania e Austria spariranno, e noi ci stringeremo la mano a Berlino.» Lo stesso ambasciatore si è concesso il vezzo di raccontare l’episodio nelle sue memorie, scritte con loquacità senile. Queste cose sono state dette dalle figlie del re Nikita, Anastasia e Militza, all’ambasciatore francese a Pietroburgo il 22 luglio – vi prego di far bene attenzione alla data. Anche questo è un fatto che va tenuto presente.

Ora direi che non c’è bisogno di preoccuparci di tutti gli altri particolari meno importanti. È invece significativo che a Berlino, fino al 31 luglio 1914, la situazione fosse precipitata in modo tale che tutte le decisioni riguardanti la guerra e la pace erano di fatto ricadute sulle spalle del Capo di Stato Maggiore, il generale von Moltke. Naturalmente egli non poteva giudicare la situazione che da un punto di vista prettamente militare. Di questo bisogna tenerne conto.

Infatti, per giudicare la situazione è necessario per prima cosa sapere con esattezza quello che è accaduto a Berlino, quasi ora per ora, dalle quattro del pomeriggio circa fino alle undici di sera. Sono ore fatidiche, in cui si è consumata un’immane tragedia per la storia del mondo.

Questa tragedia è iniziata così: il Capo di Stato Maggiore, basandosi sugli avvenimenti accaduti fino a quel momento, o almeno su quanto se ne poteva sapere a Berlino, non poté far altro che seguire e attuare il piano dello Stato Maggiore, che era stato preparato da anni nel caso si fosse verificato ciò che, alla fine, era da prevedere, ma che si è presentato come un fatto inevitabile.

Le diverse alleanze erano congegnate in modo tale che, riflettendo sulla situazione europea, non si poteva far altro che dire: se il caos dei Balcani si estenderà fino all’Austria, senz’altro si intrometterà anche la Russia. La Russia è alleata della Francia e dell’Inghilterra, quindi anche loro dovranno partecipare in un qualche modo.

Poi le cose procedono automaticamente, non c’è dubbio: Germania e Austria devono coalizzarsi. E con l’Italia era stato stretto un patto poco tempo prima – mediante un accordo dettagliato, che stabiliva addirittura il numero delle divisioni da schierare –, che in caso di guerra vincolava l’Italia a intervenire.

Questo era quanto poteva sapere un uomo che, nel valutare la situazione mondiale, si basasse soltanto su un paio di concetti. Erano le due massime che ispiravano il Signor von Molkte. Primo: se si arriva a una guerra, questa sarà terribile, accadranno cose atroci. E chi conosceva l’animo nobile del generale von Moltke sapeva che un’anima simile non si sarebbe gettata a cuor leggero in un’impresa che giudicava oltremodo orribile. Ma l’altro concetto era uno sconfinato senso del dovere e della responsabilità, che non avrebbe potuto produrre effetti diversi da quelli che poi ha prodotto.

Gentili convenuti! In Germania solo la politica avrebbe potuto impedire quanto invece accadde, e voi stessi ve ne renderete conto quando vi avrò raccontato anche i fatti che seguono.

Era il pomeriggio del sabato; si avvicinava il momento decisivo. Il Capo di Stato Maggiore von Moltke, dopo le quattro, incontrò il Kaiser, Bethmann-Hollweg* e una serie di altri personaggi che sembravano piuttosto euforici. Dall’Inghilterra era appena arrivato un dispaccio: credo però che non sia stato letto accuratamente, altrimenti i politici tedeschi non lo avrebbero interpretato in modo tanto ottimista, come se annunciasse la possibilità di un accordo dell’ultima ora con l’Inghilterra.

Nessuno a Berlino aveva la più pallida idea di quanto fosse incrollabile la fede degli inglesi nella loro missione. Nei loro confronti si era invece sempre praticata la politica dello struzzo. Una vera tragedia. E ora, da questo telegramma, si credette a cuor leggero di capire che le cose avrebbero potuto prendere un’altra piega, così il Kaiser non firmò l’ordine di mobilitazione generale.

Faccio dunque notare che la sera del 31 luglio non fu firmato l’ordine di mobilitazione generale, benché il Capo di Stato Maggiore, in base alla sua esperienza militare, pensasse che non si doveva tener conto di quel telegramma, e che invece il piano di guerra doveva essere immediatamente eseguito. Invece, in presenza di von Moltke, l’ufficiale di giornata ricevette l’ordine di comunicare per telefono che le truppe dovevano tenersi a distanza dal confine occidentale, e il Kaiser disse: ora non c’è più bisogno di invadere il Belgio.

Quanto vi sto dicendo è scritto nelle memorie dello stesso generale von Moltke, redatte dopo che fu sollevato dall’incarico in circostanze così strane. Queste memorie, col consenso della signora von Molte, avrebbero dovuto essere pubblicate nel maggio 1919, immediatamente prima della firma del Diktat di Versailles, nel momento decisivo in cui la Germania avrebbe potuto dire al mondo la verità.

Chi avesse letto ciò che doveva essere pubblicato allora, e che è uscito dalla penna dello stesso von Moltke, si sarebbe immediatamente persuaso che conteneva parole che recano il sigillo dell’onestà interiore e dell’integrità, parole che alla vigilia del diktat di Versailles avrebbero fatto una grande impressione sul mondo.

Ora il testo era già stampato il martedì pomeriggio, e avrebbe dovuto uscire il mercoledì. Venne da me un generale tedesco che, sulla scorta di una cartella piena di documenti, cercò di convincermi che tre punti di queste memorie erano inesatti. Dovetti dire al generale che avevo lavorato per molto tempo come filologo, e i fascicoli pieni di atti non mi impressionano finché non li ho valutati filologicamente. Non basta infatti sapere quello che contengono, ma anche quello che non contengono: chi compie una ricerca storica, cerca non solo quello che c’è nelle carte, ma anche quello che manca.

Dovetti però anche aggiungere: lei ha preso parte a questi eventi, e naturalmente il pubblico ritiene che lei li conosca con precisione. Se io faccio uscire questo libricino con le memorie di von Moltke, lei giurerebbe che questi tre punti non sono esatti? Il generale mi rispose: sì!

Io sono pienamente convinto che questi tre punti dicono la verità, perché se ne può constatare la giustezza anche da un punto di vista psicologico. In quel momento però la diffusione delle memorie sarebbe stata del tutto inutile: se qualcuno avesse detto sotto giuramento che questi tre punti non erano giusti, sarebbero iniziate le solite angherie e il libricino sarebbe stato sequestrato. Viviamo in un mondo che non considera ciò che è giusto o ciò che è ingiusto, ma che decide in base al potere.

So di essermi attirato forti ostilità con questo libricino, in particolare per ciò che ho scritto a pagina 5; ma l’ho voluto scrivere per mettere nella giusta luce la situazione che c’era allora. Ho scritto:

«Come in Germania tutto dipendesse dalle decisioni del vertice delle Forze Armate, nel periodo che precedette lo scoppio della guerra, lo rivela l’infelice aggressione del Belgio: un’azione ‹militarmente necessaria› e politicamente assurda».[67]

Chi ha scritto queste righe chiese al generale von Moltke, nel novembre del 1914: «Che cosa pensa, il Kaiser, di questa aggressione?»

La risposta fu: «Nei giorni che precedettero lo scoppio della guerra, il Kaiser non sapeva ancora nulla. Infatti, conoscendo il suo carattere, si temeva che avrebbe spifferato questa storia ai quattro venti. E questo non doveva assolutamente accadere, perché l’aggressione sarebbe riuscita solo cogliendo l’avversario impreparato». Io chiesi: «Il cancelliere lo sapeva?». La risposta fu: «Sì, lo sapeva.»

In questo modo si doveva far politica nell’Europa Centrale, ci si doveva premunire contro la lingua lunga del Kaiser! Vi chiedo: non è forse una tragedia immane, dover fare politica così?

In base a tutto ciò si può dare la prova certa che l’affermazione di Tirpitz – un personaggio sgradevole –, su Bethmann-Hollweg [il cancelliere tedesco dell’epoca, NdT] era giusta: disse cioè che a costui sarebbero venuti a tremare i ginocchi, e che, anche esteriormente, la sua fisionomia esprimeva quanto fosse nullo politicamente. Tirpitz ripeté la stessa cosa anche all’ambasciatore inglese, sottolineando che, se l’Inghilterra avesse attaccato, la politica del cancelliere si sarebbe rivelata per quel che era: un castello di carte.

Lo era davvero – crollò come un castello di carte –, e nelle sue memorie il Capo di Stato Maggiore von Moltke scrisse di quella sera:

«L’atmosfera diventava sempre più incandescente, e io mi ritrovai completamente solo».[68]

Gentili convenuti! Il comando militare era completamente solo, la politica ridotta a uno zero.

I tedeschi si ritrovarono in queste circostanze per non aver voluto elevarsi a quelle visioni di ampio respiro per le quali avevano una speciale vocazione, come dimostrano le grandi epoche dello sviluppo culturale tedesco, a cui, però, alla fine del secolo diciannovesimo e all’inizio del ventesimo, non si voleva guardare.

Gentili convenuti, l’animo del Capo di Stato Maggiore si sentiva oppresso da questa situazione, gravida di disgrazie. E quando, a seguito delle istruzioni ricevute per telefono, gli si presentò un ufficiale per fargli firmare l’ordine di trattenere le truppe alla frontiera franco-belga, il generale spezzò la penna sul tavolo, esclamando che lui non avrebbe mai firmato un ordine simile, perché avrebbe solo disorientato le truppe.

E fu in un questo doloroso stato d’animo, che von Moltke, sull’orlo della disperazione, fu mandato a chiamare. Erano ormai passate le dieci di sera, e dall’Inghilterra era arrivato un nuovo telegramma – preferisco non ricordare i dettagli – e fu allora che il Kaiser pronunciò le parole: «Ora può fare quello che vuole!»

Vedete, bisogna comunque entrare in certi dettagli, e io, gentili convenuti, vi ho fornito solo alcuni tratti essenziali di quanto è accaduto nel Continente. Ma adesso voglio descrivere anche l’evento corrispondente, quel che accadde dall’altra parte, in Inghilterra. Un giorno verrà confermato, e, d’altro canto, posso dire che non ve lo racconto a cuor leggero.

Un giorno si saprà con certezza che, mentre a Berlino accadeva quello che vi ho appena raccontato, nello stesso momento i due, Asquith e Grey, si dissero: «Ma che sta succedendo? Per tutto il tempo abbiamo fatto politica per l’Inghilterra a occhi bendati!». Intendevano dire che la politica inglese era stata fatta da altri, mentre loro avevano gli occhi bendati. E dissero: «Ora ci hanno tolto la benda » – era sabato sera – «ormai non possiamo che entrare in guerra.» Questa è l’altra faccia della medaglia, questo è avvenuto al di là della Manica.

I fatti che ho descritto vanno presi come esempi, a cui se ne potrebbero aggiungere tanti altri ancora. Ma vi prego di ricordare che per via del poco tempo a mia disposizione, mi limito a tratteggiare un certo clima, per presentarvi qualcosa che getti almeno un po’ di luce su quanto è accaduto. E vi prego anche, dopo aver ascoltato tutto questo, di leggere in base a queste stesse premesse ciò che ho scritto nei miei Pensieri in tempo di guerra che, dopo averci ben riflettuto, ho dedicato «ai tedeschi e a chi crede di non doverli odiare».

Ogni dettaglio di quel testo è ben ponderato. Vi prego di riflettere su quanto ho scritto da questo punto di vista: che il nocciolo della questione non è ciò che abitualmente si definisce colpa o non colpa in senso morale, si tratta invece di portare la discussione all’altezza del divenire storico, dove si è svolta una eccezionale tragedia, qualcosa per cui si deve incominciare a parlare di necessità storiche, qualcosa su cui non si dovrebbero far chiacchiere con giudizi come quelli a cui ho accennato oggi.

La situazione è molto più grave di quanto si creda nel mondo, sia da una parte che dall’altra, però queste cose devono assolutamente essere portate a conoscenza di tutti, affinché, a partire da esse, si trovi una via che dalla confusione porti all’ordine.

Ma ai nostri giorni, gentili convenuti, non c’è veramente alcuna possibilità: tutto quello che si fa in questo senso viene sempre deformato, denigrato, non c’è verso di riuscire a mostrarlo al mondo nel modo giusto.

Quello che vi ho detto oggi sul generale von Moltke ci permette di giudicare l’uomo in un momento decisivo. Ma ci sono altre persone di cui, come sapete, si dice abbiano prestato servizio nello Stato Maggiore e che hanno il coraggio di raccontare le storie più infamanti sul generale von Moltke. Tra le altre raccontano l’assurda menzogna secondo cui in Lussemburgo, prima della battaglia della Marna, si sarebbero tenute conferenze antroposofiche, per partecipare alle quali von Moltke avrebbe trascurato di compiere il proprio dovere.

Se certa gente arriva a dire cose di questo genere, allora, gentili convenuti, possiamo capire in quali condizioni morali ci ritroviamo oggi. E in tali condizioni è difficile spianare la strada alla verità. Per riuscirci avremmo bisogno di molte, moltissime forze.

Ora che vi ho spiegato le premesse, voglio leggervi una frase dalle Memorie di von Moltke, che vi mostrerà cosa si muoveva nell’anima di quest’uomo: quale fosse la sua opinione sulla necessità di una guerra, e quale fosse il suo senso di responsabilità. Non si tratta infatti, di costruire un brutale concetto di colpa, ma di calarsi in ciò che viveva nelle anime a quel tempo.

È una frase molto semplice, quella che Moltke ha scritto; una frase che è stata pronunciata spesso. C’è però una bella differenza, se a pronunciarla è una persona qualunque, oppure un uomo su cui gravava la decisione di iniziare una guerra. Egli scrisse:

«La Germania non ha provocato la guerra e non è entrata in guerra per smania di conquiste o per intenzioni aggressive verso i suoi vicini. La guerra le è stata imposta dai suoi avversari e noi lottiamo per la nostra sopravvivenza come nazione, per la sopravvivenza del nostro popolo, per la continuazione della nostra vita nazionale».[69]

Non si trova la verità se si esaminano i fatti partendo da un punto qualsiasi, si deve partire dal punto in cui le realtà, i fatti sono in gioco. E quando si può provare che un elemento essenziale ha agito nell’anima di un uomo, in un’anima con una tale coscienza, allora anche questo va considerato come parte dei dati di fatto che hanno contribuito a creare una determinata situazione.

Se si vuole dare un giudizio, bisogna essenzialmente esaminare le azioni delle quaranta, o al massimo cinquanta personalità, che hanno avuto una parte nello scatenare questa orribile catastrofe. Chi vuole farsi un’opinione su questi avvenimenti, a partire dalla conoscenza dei fatti, sa che effettivamente erano tutti piuttosto ignari – tutti, tranne le quaranta o cinquanta persone che hanno provocato lo scoppio della guerra, e che dispiegarono la loro attività nella galassia dei rapporti tra Stati europei.

Durante la guerra ho avuto occasione di parlare con molte persone, che erano in grado di giudicare gli eventi, e ho sempre parlato senza peli sulla lingua. Per esempio, a un personaggio vicino ai capi di uno Stato neutrale, ho detto: possiamo dire che è cosa nota, che in questi anni la catastrofe della guerra sia stata provocata da circa quaranta o cinquanta personaggi, che si sono mossi a livello internazionale. Fra questi, gentili convenuti, c’era anche un certo numero, non tanto esiguo, di donne – le donne non sono solo nella società antroposofica.

Sarebbe necessario spiccare il volo e conquistare l’altezza delle ampie prospettive, per giudicare veramente questa situazione. Invece si fa un gran parlare di questi eventi che hanno sconvolto il mondo rifacendosi a superficiali Libri bianchi e Libri neri. E così, per chi sa che i fatti sono ben diversi da come li conosce la maggioranza delle persone, è oltremodo difficile far valere queste conoscenze in quegli ambienti dove, a partire dal 1914, si sta a giudicare quanto è accaduto.

Ne ho fatto l’esperienza già ai tempi in cui, in ogni parte della Svizzera, mi buttavano in faccia il J’accuse[70] e io – voi sapete quanto certe situazioni fossero pericolose – e io mi dicevo, e lo dicevo anche alla gente, che non potevo dire nient’altro che la verità, sebbene la verità fosse spesso la cosa meno capita. Leggete – dicevo – in un libro del genere, non le sofisticherie da giurista, leggete quello che vi è contenuto, l’intera struttura, l’intero stile del libro, e direte: questa è letteratura politica da scale di servizio! L’ho detto a persone che appartenevano a Stati neutrali e non neutrali, l’ho dovuto ripetere molte e molte volte.

Naturalmente non intendo che in questo J’accuse sia tutto sbagliato; però parte da un punto di vista assolutamente inadatto a giudicare la tragica situazione storica in cui il mondo si trovava nel 1914. Bisogna risalire ai retroscena, se si deve parlare, anche solo in parte, della questione della colpa.

Sì, la questione della colpa, gentili convenuti, ci deve insegnare anche qualcos’altro.

Nell’autunno o inverno del 1916, la Germania fece l’infelice Offerta di pace, a cui seguì la mossa surreale dei 14 punti di Woodrow Wilson. Subito dopo ho preso contatti con personaggi importanti, e non ho mai dovuto insistere, poiché mi venivano incontro spontaneamente ben più che a metà strada. Desideravo esporre un pensiero, che a molti poteva sembrare paradossale, ossia che in contrapposizione a questi 14 punti di Wilson, che pur essendo del tutto avulsi dalla realtà erano in grado di mobilitare una gran quantità di uomini, navi e cannoni, si potesse presentare al mondo l’idea della triarticolazione dell’organismo sociale.

E ho constatato che diverse persone capivano bene la necessità di una trasformazione del genere, ma che nessuno, proprio nessuno, aveva in realtà il coraggio di fare qualcosa in questa direzione.

Vedo che oggi è di nuovo qui presente la persona che assisté al mio colloquio con Kühlmann: non posso quindi raccontarvi frottole, queste cose mi sono successe davvero.

Non vi racconterei comunque niente di falso, dovrei vergognarmi addirittura davanti a me stesso, perché si sa esattamente come è andata questa storia.

Devo ancora dirvi, per esempio, che fin dal gennaio del 1918 ritenevo l’offensiva progettata per la primavera una completa assurdità. Durante un viaggio da Dornach a Berlino – che feci perché si sapeva che all’avvicinarsi del momento decisivo sarebbe stata chiamata alla guida degli affari politici una certa persona – mi trovai nella condizione di parlare proprio con questa persona della situazione che si è poi verificata in seguito, nel novembre del 1918.

Avendo trovato da parte sua una certa comprensione per la triarticolazione dell’organismo sociale, andai a Berlino, per parlare con un personaggio importante. Fin dal gennaio del 1918 i bene informati sapevano dell’offensiva che si stava preparando per la primavera, ma di questo non si poteva parlare. Io avrei dovuto parlare con un alto ufficiale che era molto vicino al generale Ludendorff.

Il colloquio si svolse all’incirca così. Io dissi: «Non mi voglio esporre al rischio di essere criticato perché parlo di strategie militari, voglio partire da un altro punto, in cui il mio dilettantismo in cose militari non entra in gioco». Dissi che ritenevo l’offensiva di primavera un’assurdità, anche se con questa offensiva Ludendorff avesse raggiunto tutti gli obbiettivi immaginabili. E spiegai che la pensavo così per tre motivi.

Il mio interlocutore divenne molto agitato, ed esclamò: «Ma cosa vuole? Kühlmann aveva il vostro elaborato sulla triarticolazione nella borsa e se l’è portato dietro a Brest-Litowsk! La politica ci fa dei bei servizi. Da noi la politica non conta nulla. Noi militari non possiamo far nient’altro che combattere, combattere e combattere». Nel 1914 il Capo di Stato Maggiore si era ritrovato in una situazione tale da dover descrivere così la situazione di quella famosa sera: «L’atmosfera divenne sempre più incandescente, e io mi ritrovai completamente solo.» E sull’atmosfera delle ore che seguirono, tra le dieci e le undici della sera, scrisse:

«Il Kaiser era molto agitato e mi disse: ‹Adesso Lei può fare quello che vuole› ».[71]

Così nel 1918 c’era chi poteva affermare: è inutile rivolgersi ai politici, la politica è sprofondata nel nulla. Noi militari non possiamo far nient’altro che combattere, combattere e combattere.

Miei cari ascoltatori! Nulla era cambiato allora, e nulla è cambiato oggi. Di questo posso fornirvi la prova, anche se soggettiva e in negativo. Dalla medesima sede e con la medesima insipienza con cui ha parlato Woodrow Wilson – insipienza che è stata comprovata dalla figura che Wilson ha fatto a Versailles – ha parlato il presidente Harding*. Il discorso di Harding è confusissimo, del tutto privo d’ogni senso di realtà, e a sua volta non ripropone altro che vecchie frasi fatte. Allora c’erano da prendere decisioni politiche, oggi si tratta di prenderle nell’economia. Allora come oggi non mi pare proprio che qualcuno si occupi delle nubi che si addensano all’orizzonte.

È quasi impossibile portare le persone a formarsi un giudizio! Che allora sia stato Wilson a mostrare a Versailles la sua confusione, oppure che oggi sia qualcuno di noi a dire le cose con la medesima mentalità, non è questo che conta. Quello che conta è solo tenere gli occhi aperti e avere senso della realtà.

In tal caso, gentili convenuti, si presterebbe attenzione anche a certi fatti: per chiunque abbia una sensibilità politica è inaudito che lo statista esemplare del nostro tempo, quel Lloyd George, abbia detto di recente: alla Germania non si può attribuire la colpa morale dello scoppio della guerra, nel vecchio senso dell'espressione. La gente ci è scivolata dentro a causa della propria stupidità.

Così ha detto qualche settimana fa e voi sapete che cosa ha detto a Simons, a Londra. Da ciò potete dedurre quanta poca verità contengano i discorsi della gente. E il mondo ha mai voglia di guardare a queste cose? Gli verrà solo se svilupperà in sé una sensibilità per punti di vista universali.

Quanta parte hanno avuto, queste ampie vedute, nella catastrofe della guerra! E la nostra disgrazia è stata che nessuno arrivasse a comprenderle. Dobbiamo fare in modo che i punti di vista universali, da cui dipendono le cose, oggi anche nella Mitteleuropa comincino a giocare un ruolo nelle decisioni, gentili signore e signori.

Non ci sarà alcun miglioramento, finché a decretare cosa è vero saranno coloro che pretendono, in maniera alquanto singolare, di avere l’esclusiva su ciò che appartiene alla Germania; finché questa gente continuerà a chiamarci traditori della cultura tedesca – sebbene quanto affermiamo, se venisse capito davvero, sia l’unica cosa veramente in grado di dare all’autentica cultura tedesca il posto che le spetta – non cambierà nulla. Devono riunirsi le persone che hanno una volontà diversa, che cercano la verità sopra ogni altra cosa. Certo, anche in Germania ci sono stati guerrafondai, ma tutto quello che hanno fatto non ha avuto alcun peso nel momento decisivo.

Significativo è stato invece ciò che ho scritto nell’ultimo capitolo del mio libro I punti essenziali della questione sociale.[72] Ho scritto che, avendo smarrito i punti di vista universali, abbiamo raggiunto il punto zero dell’efficacia della politica. Nella cultura tedesca ci risolleveremo solo quando ci innalzeremo a questa vastità di vedute, perché chi vive l’autentica cultura tedesca non solamente a parole, ma con cuore palpitante, sa che essa significa proprio: divenire tutt’uno con i punti di vista universali. Dobbiamo ritrovare la strada verso i punti di vista universali del popolo tedesco.

Gentili convenuti, in fondo vi dico queste cose anche per esperienza. Avrei anche potuto non rispondere a questa domanda.
[/QUOTE]
view post Posted: 20/8/2014, 18:00 libro: CHI HA AVVELENATO RUDOLF STEINER? - Eventi
Ciao a tutti, questa estate ho letto il libro di Andrea, e vorrei riproporre un pezzo dei un mio post su tale questione che avevo lanciato sul vecchio forum Econatroposophia, ma che è stato cancellato dagli amministratori.

Ma prima di riproporlo, vorrei commentare la forte introduzione che ha fatto Uno Editore, sul mandante di origine "gesuitica".

Ho trovato la biografia fatta da Adrea molto interessante. La opportuna distanza dai fatti mi è sembrata necessaria per avere quel distacco minimo per evitare agiografie. Il dopo Steiner, l'ho trovato molto interessante. Ma per quanto rigarda la tesi del mandante di origine gesuitica, ovvero la tendenza di creare degli schieramenti tra i "veri buoni" e i "super cattivi" ispirati dall'anti-cristo, che saranno da qui in poi il vero nemico da cui difendersi, non mi è sembrata sostenibile.

A parte la completa assenza di prove (mi sembra di averne portate più io nel vecchio post che inviai su Eco), tutto si basa su "si dice che Steiner abbia detto che...".
Io preferisco pensare che il "guardatevi dal gesuita che è tra noi", non si sarebbe dovuto prenderlo come è stato sottinteso dal libro, e che confermava anche la mia ipotesi, ma doveva essere riferito a quella parte di "gesuita" (in ambiente cattolico si sarebbe detto di "Giuda"), che sta dentro di noi.

Abbiamo fatto tanto per riabilitare Giuda, per perderci ora nel gesuita (consapevole o inconsapevole) Albert Steffen?

CITAZIONE
dalla lettera di San Paolo agli Efesini Cap. 6.11-17
Rivestitevi dell'armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.
Prendete perciò l'armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l'elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio.

Dovremmo combattere i gesuiti la fuori o il gesuita/giuda che mi porto dentro? Le accuse fatte dall'editore, hanno i requisiti qui descritti di Verità-Giustizia-Zelo per la pace-Fede in Dio-e nella sua Parola? Non credo. Credo che certe dichiarazioni, alimentino un clima di paura, nel quale diventa alquanto difficile rimanere "BEN FERMI" e credo che facciano il lavoro contrario a quello dello spirito.

Non dico di non smascherare il complotto, ma dico di farlo con verità e giustizia, senza approssimazione. E comunque il cristiano già lo sà che la lotta è contro le insidie del diavolo. E' lì che si nasconde il complotto più grande e occulto di tutti. Ma non è niente di nuovo! Oggi le armi con cui combattere sono sempre le stesse di ieri, forze cambiando qualche termine si potrebbe comprenderle meglio?

State dunque ben fermi CALMI, cinti i fianchi con la verità il PENSIERO VIVENTE, rivestiti con la corazza della giustizia dell'EQUANIMITA', e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace la POSITIVITA'. Tenete sempre in mano lo scudo della fede della SPREGIUDICATEZZA, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l'elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio la CONCENTRAZIONE.

CITAZIONE
Mio post del gennaio 2013, su Econatroposophia forum:

Mosso da queste parole di Lucio Russo, relative alle massime antroposofiche 134/135/136 - 1: Due parole prima di cominciare.
Ho detto, una sera (massima 29), che il problema fondamentale della conoscenza è rappresentato dai diversi gradi o livelli di coscienza, ossia da una realtà che non viene quasi mai presa in considerazione, e ho riportato queste parole di Steiner: “Oggi non sono ancora molti coloro che conoscono ciò che sempre più andrà diffondendosi nel mondo: la lotta tragica per la conoscenza”.
Sono trascorsi quasi novant’anni, ma “non sono ancora molti coloro che conoscono” questa “lotta tragica per la conoscenza”, e “non sono ancora molti”, perciò, coloro che sono in grado di capire, sentire e condividere il “dolore di Michele”, ch’è lo stesso della Vergine di cui Michele è il Cavaliere.


Così mi è ritornato in mente un libro che lessi qualche mese fa: , in cui trovai un passo che mi lasciò perplesso. Si accenna all'avvelenamento di Steiner, senza darne spiegazione. Hiebel parla solo di quello che uno sprovveduto ventenne ha veduto quel giorno, nulla di più, nulla è stato elaborato negli anni successivi? Riporto il brano in qestione:

[1/1/1924] Trascorse un lasso di tempo prolungato durante il quale non si udì alcun'altra allocuzione. Improvvisamente si vide il Conte Polzer Polzer in piedi sulla piccola pedana levare in alto il bicchiere. Rivolse un brindisi a Rudolf Steiner e seguì un applauso. Rudolf Steiner - con un aspetto non troppo lieto - si recò anche egli nella pedana, ringraziò Polzer-Hoditz levando in alto il bicchiere e bevendolo rapidamente.

Ma come? Non si sapeva che l'alcool inibisce la visione spirituale? Steiner per pura cortesia, dopo aver avuto imponenti intuizioni spirituali nei giorni del Convegno di Natale, in cui è stato a stretto contatto con l'arcangelo Michael, con Christian Rosencreutz (presenti al convegno in forma spirituale [vedi le massime rosicruciane nella Meditazione della Pietra di Fondazione]), per pura cortesia, mette fine a tutto ciò (per qualche giorno) e brinda con tutti?

Non potrebbe essere stato un espediente questo, per potergli offuscare la visione spirituale e propinargli il veleno? E questa sarebbe l'azione più grave di tutte. Oppure, non potrebbe essere stato quell'alcool ad avvelenare il dottore, come avviene anche in Judith von Halle? (e questa ipotesi sarebbe più tranquilla, non contemplando dei traditori all'interno della cerchia più ristretta).


[...]
Il brusio delle voci degli ottocento membri rendeva difficile intavolare un discorso che però, seppure con assoluta brevità, aveva l'intenzione di occuparsi di certi problemi di Belle Lettere.
Scorsi infine Albert Steffen albert_steffen, vicino al lato est della sala, appoggiato alla parete e tutto solo. Presi il coraggio di avvicinarmi decisamente a lui e di presentarmi. Steffen portava allora un abito marrone con cravatta scura. Teneva il capo lievemente inclinato in avanti. Percepii sul suo volto solcato dalle rughe un certo tratto di interiorità ascetico-francescana. L'elevato fluttuare delle voci di quella lieta riunione contrastava in modo del tutto evidente con il carattere eremitico che gli era connaturato ed egli sembrava anche non nascondere con il proprio atteggiamento di doversi ritrarre appena possibile da tutti questi saluti fugaci.

Il momento del nostro primo incontro fu quindi assolutamente sfavorevole, per quanto cercassi di indirizzare il colloquio su determinati problemi di storia della letteratura che si riferivano a Goethe ed a Novalis. Ebbi sempre più l'impressione che non fosse affatto lieto della conversazione con il giovane studente in questa manifestazione turbolenta.
Nutrivo la speranza che avesse forse già letto l'uno o l'altro dei miei articoli apparsi sul "Osterreichiscer Bote" (Messaggero Austriaco). Prima però che avesse potuto occuparsene fu chiamato velocemente da una persona a me sconosciuta, che gli sussurrò alcune parole. Allontanandosi mi diede la mano e disse con mia sorpresa di voler continuare il discorso non appena fosse tornato.
Rimasi quindi allo stesso posto per non mancare il nuovo incontro.

In effetti Steffen tornò dopo un lasso di tempo abbastanza breve e riprese con me il discorso interrotto, che si riferiva al contrasto spirituale tra il classicismo e il romanticismo. [...] mi dissi poi non soddisfatto di questo colloquio che era stato sorprendentemente diviso in due metà da una circostanza per me inspiegabile.


Ecco, Hiebel accenna a qualcosa, ma non ha il coraggio di dirla. Il riferimento è all'avvelenamento di Rudolf Steiner. Steffen, il secondo componente del direttivo, dopo lo stesso Steiner, fu immediatamente chiamato a seguito dell'avvelenamneto e in un breve lasso di tempo tornò a chiaccherare della letteratura con lo studente, come se niente fosse accaduto.

Le file delle persone che si intersecavano, passando si diradarono lentamente. Allorché volsi lo sguardo in direzione del tavolo della Presidenza non si vedeva più nessuno.
[...]
Quanto prima salimmo tutti lietamente per la collina, con grande aspettativa della conferenza serale. Sperimentammo poi nel pieno vigore della sonora voce baritonale di Rudolf Steiner la conferenza conclusiva, con l'altezza insuperabile della sua promessa spirituale, insieme alla lettura della meditazione della Pietra di Fondazione.

Fin qui giunge la mia relazione derivante dalla diretta partecipazione e visione, come la sperimentarono contemporaneamente a me gli ottocento partecipanti al Convegno, ad eccezione di alcuni pochi che si erano intrattenuti durante la serata nei vani retrostanti il palcoscenico. Come fu riferito, Rudolf Steiner, colto da nausea, si affrettò improvvisamente verso la stanza posteriore. Dopo aver constatato che gli altri membri della Presidenza, che sedevano prima al tavolo con lui, non avevano avuto nausea, si espresse con sollievo, ma ricondusse il motivo della propria nausea ad un attentato rivolto a lui. Desiderava tacerne. In nessuna conferenza se ne trova un accenno.

Marie Steiner scrisse in proposito ventun'anni dopo, in qualità di editore, nella prefazione alle conferenze tenute per il Convegno di Natale: "L'ultimo giorno, 1 gennaio 1924, si ammalò all'improvviso in modo grave. Fu come un fendente che colpì la sua vita in quella lieta riunione, in cui fu servito il tè con i pasticcini, definito root sul programma. Fu ciò nonostante, continuamente attivo fino all'eccesso sino al 28 settembre, giorno in cui parlò per l'ultima volta. Le forze fisiche che andavano scemando furono alimentate e sostenute dal fuoco spirituale e superarono se stesse. Ma infine, dopo le attività sovrumane del mese di settembre, la potenza di questa fiamma interiore consumò anche lui. Il Convegno di Natale si mostra in questa luce tragica a chi ha la possibilità di abbracciare con lo sguardo gli eventi".


Solo Steiner fu colpito da nausea, significa che, qualora ci fosse stato un veleno, questo fu propinato precisamente a Steiner. Chi ha potuto consegnare una tazza avvelenata? Un cameriere? Ma sappiamo che a Dornach, non avevano soldi per chiamare gente esterna a lavorare, tant'è vero che lo stesso Hiebel racconta che i giovani come lui facevano spesso delle commissioni, dei lavori di pulizia, le guardie all'edificio ecc. Quindi solo qualcuno degli stretti collaboratori poteva aver fatto una cosa simile e con tale precisione. Gli altri non furono avvelenati infatti.

Oppure possiamo pensare che non fu un veleno fisico, ma un qualcosa simile ad una fattura (una macumba). Secondo Prokofieff praticata da una setta di gesuiti. Anche se Prokofieff parla proprio di un veleno reale, che aveva la potenza di distruggere il corpo eterico già malandato di Steiner, a seguito dell'incendio del Goetheanum dell'anno precedente.

[...]
Come tutti gli altri non potei sentir nascere in me il minimo presentimento di ciò in base allo svolgimento degli eventi di questa sera. Forse - così mi dissi molto tempo dopo, allorché appresi dell'accaduto - la rapida interruzione del colloquio con Albert Steffen era in relazione a ciò.
[...]
Ora alla fine del Convegno, vi fu una pausa di silenzio solenne, che poi fu improvvisamente rotto dalle parole di ringraziamento di Louis Werbeck, in cui questi accennò a frasi della conferenza di apertura di Albert Steffen sulla "inesprimibilità del ringraziamento". [...] Restammo tutti immobili. Allora Rudolf Steiner, dopo queste frasi poetico-patetiche che lottavano per esprimersi, raggiunse nuovamente il podio ed accettò il ringraziamento "a nome dello spirito del Goetheanum". [...] Diede poi, senza atteggiarsi a posa, un bacio fraterno in fronte a Werbeck, si recò poi da Steffen, lo abbracciò e gli diede due baci sulle guance.


Non posso non pensare alla scena del bacio di Giuda, in cui il Cristo lo scagiona davanti a tutti gli altri apostoli e baciandolo gli manifesta la sua fiducia. Naturalmente sono solo ipotesi e sono morti coloro che potevano dare più chiarezza alla faccenda. Quindi Hiebel ha fatto bene o no a non parlarne?
Non lo so! Effettivamente se non si è fermamente sicuri di una cosa, non se ne dovrebbe parlare, ma Hiebel poteva agire, poteva andare dai diretti interessati e chiarire la faccenda.
Ma questo, Hiebel non l'ha fatto oppure non ce l'ha detto, così io rimango confuso e non capisco il perché, dopo Steiner ci furono quei litigi, quelle ripicche per questioni meschine di orgoglio, perpetrate tra gli alti nomi del consiglio direttivo della S.A.

Si dice che il karma del passato, fece loro perdere la ragione. Gelosie? Invidie? O forse c'è qualcosa di più grave? Persone del calibro di Ita Wegman (Alessandro Magno?), Elisabeth Vreede (Jacques de Molay?), Marie Steiner ecc. Dopo aver partecipato a eventi cosmici di portata storica, hanno potuto cedere all'inganno di gelosie e invidie? Troppo orgoglio?

Sappiamo che quello che succede, deve essere accettato come la situazione più opportuna per noi; che quegli avvenimenti, una volta accaduti, una volta che il mondo spirituale li ha permessi, sono "giusti", "necessari", e da quelli, dal dato di fatto, bisogna ripartire. Però se quegli avvenimenti sono fattore di scandalo per me, se sono apportatori di odio nella mia anima, allora vanno affrontati. La verità venga fuori, e ai colpevoli ci penserà il karma.

Perché Marie Steiner per 21 anni non accennò a niente, portando dentro di sé quel rancore che contribuì a far sgretolare la Società Antroposofica?
view post Posted: 21/7/2014, 22:07 espansione e contrazione nella Via di Michele - Antroposofia
Nel fine settimana mi è capitato di leggere un articolo di Piero Cammerinesi: Uomini senza io.

Nell'articolo, Piero Cammerinesi riporta una frase di Steiner:
CITAZIONE
Rudolf Steiner, GA346, Apokalypse und Priesterwirken, pag.187
chi affermasse che non dovremmo provare partecipazione nei confronti questi uomini privi di io, privi di personale individualità, in quanto non avrebbero una successiva incarnazione, si sbaglierebbe di grosso. Va compreso, caso per caso, cosa vi sia propriamente in ciascuno di questi esseri. (...) Noi dobbiamo pertanto educare questi esseri in piena coscienza come degli esseri rimasti bambini.

Cammerinesi parla di un terzo della popolazione mondiale, un dato che fa spavento.

CITAZIONE (dottormistero @ 20/7/2014, 13:01) 
Alla fine è solo un bel teatrino, fra anatemi e tradimenti, tanto vale prenderla a ridere.

Alla luce di queste letture, questo teatrino mi mette molta tristezza. Oggi, chi è arrivato a possedere un io cosciente, ha la responsabilità di essere un faro, non di disprezzare chi sta dietro.

Ieri la chiesa cattolica ha proclamato la lettura del grano e della zizzania che riporto:
CITAZIONE
Matteo 13,24-43
Un'altra parabola espose loro così: «Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania? Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio».

Un'altra parabola espose loro: «Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami».
Un'altra parabola disse loro: «Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti».
Tutte queste cose Gesù disse alla folla in parabole e non parlava ad essa se non in parabole, perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta:
Aprirò la mia bocca in parabole,
proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo.

Poi Gesù lasciò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si accostarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell'uomo. Il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del regno; la zizzania sono i figli del maligno, e il nemico che l'ha seminata è il diavolo. La mietitura rappresenta la fine del mondo, e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, intenda!

Leggendo questo vangelo dopo aver letto l'articolo di Cammerinesi, fa riflettere, fossero i figli del maligno, questi uomini locusta di cui parla Piero?

In un commento di tanti anni fa a queste letture, Padre Giovanni Vannucci ricorda una parabola simile del Buddha:
CITAZIONE
«Quando Dio creò l’uomo, il diavolo ne ebbe grande invidia, volle gareggiare con lui creando un altro uomo che fosse migliore di quello creato da Dio. Ma Dio aveva consumato tutta la materia, il diavolo fu costretto a cercare qualcos'altro per il suo capolavoro. Dopo aver cercato a lungo non trovò che un mucchietto di sterco d’asino: con esso plasmò una figura umana, l’intonacò con della calce, cercò di animarla soffiandovi il suo alito, come aveva fatto il creatore. Una volta animata portò il suo manufatto in mezzo agli uomini; questi ultimi rimasero stupiti perché, pur essendo simile a loro, lo trovavano diverso senza riuscire a capirne la differenza.
Essendo opera del diavolo, era maligno, sciocco e chiacchierone; gli uomini si lagnarono con Dio, il quale sorrise e disse: "Aspettate la pioggia". Venne la pioggia e l’opera del diavolo si disfece e fu di concime alla terra. Siccome ci sono molti asini, continuò il Buddha, il diavolo continua a fabbricare i suoi uomini i quali, pur essendo simili agli uomini di Dio, non reggono alla pioggia e sono destinati inesorabilmente a concimare la terra; Dio riprende sempre ogni materia perché sua e lascia al diavolo il suo fiato.

CITAZIONE
dice Vannucci:
«Vuoi che andiamo a togliere la zizzania?», domandano gli operai al padrone. La
risposta è perentoria: «No! Togliendo la zizzania rischiate di sradicare anche il grano!».
Agli uomini, che si agitano per l’opera del nemico, il padrone risponde semplicemente:
«Aspettate che piova»; appena caduta la pioggia la creazione del diavolo si decompose e

Noi abbiamo sempre, regolarmente, una tremenda premura di far giustizia, di
moralizzare perché il male sia sradicato, le ombre dissipate e trionfi la luce; in questo
nostro zelo estirpiamo il grano insieme alla zizzania.
servì a concimare il campo.

Certo che l'articolo di Cammerinesi, potrebbe indurre ad una lotta frontale contro i non umani, nonostante quello che dice Steiner, si potrebbe pensare che sia inutile sacrificarsi per qualcosa che non è l'essere umano. Il famoso detto "Ama il prossimo tuo come te stesso", trasformato da Pietro Archiati in "Ama il prossimo tuo perché è te stesso", in questo caso non sarebbe più valido, figure di uomini si mischierebbero tra gli uomini, pur non essendolo. Non voglio pensarla così, non credo che ci sia un terzo dell'umanità, in queste condizioni, ci sono molti uomini che non riescono ad arrivare all'io, e chi ha la capacità di attingere alla forza-pensiero data dalla concentrazione, la utilizzi per amare questa umanità piuttosto che per estirparla.

Buona notte Pierfrancesco
view post Posted: 21/7/2014, 20:02 Il cammino del discepolo - Antroposofia
Buona sera amici,

un caldo ringraziamento per le vostre risposte, il confronto a volte è anche utile per non farci partire per la tangente. Magari mi viene un'idea e quella mi porto dietro per mesi, ma era errata, e si passa troppo tempo su di un sentiero che non conduce a niente e poi ci si rammarica di aver puntato l'attenzione per anni sul punto sbagliato e non essersi accorti che era lì accanto che dovevamo guardare.

CITAZIONE
Ecco, questo è il punto: Si può fare la concentrazione per abitudine?

La concentrazione pura no. Ma forse è possibile che riprendendo dagli archivi della memoria, sempre quella dozzina di oggetti, di cui ormai si conoscono le caratteristiche, è possibile che la forza suscitata da quella evocazione, sia inferiore a quella necessaria, che al momento dell'immagine-sintesi, doveva essere presente.

Il fatto è, che leggendo Steiner e tutte quelle leggi spirituali, ci si accorge che, in verità non se ne conosce veramente neanche una, che dopo anni di prove, ti ritrovi ancora al punto di partenza, questo scoraggia. E mi viene da dire che solo una forza esterna a me, potrebbe far sbloccare la situazione. Le motivazioni e l'entusiasmo che all'inizio ti spingono a procedere imperterrito per mesi, dopo un primo occasionale blocco di appena una settimana dagli esercizi, si fatica pesantemente a ritrovare nuove motivazioni per ricominciare.

Se poi si aggiunge che, lo scoprire sempre più profondamente la propria personalità, in alcuni produce un disinnamoramento della propria figura, ci si trova in un punto in cui, l'uomo vecchio non è più presentabile, ma l'uomo nuovo fatica a nascere. Ne caldo, ne freddo ci si vede nella propria meschinità.

E' difficile da sopportare, e si arriva a pensare che solo un colpo del destino possa rovesciare questa situazione in cui si è giunti. Ma non arrivando, si potrebbe tentare di riabilitare l'uomo vecchio, di dirsi che non era così male, e quindi tornare indietro: la fine dei mediocri. E la paura di stare a fare quella fine, esiste!

Sarà l'estate ...
view post Posted: 16/7/2014, 17:32 Il cammino del discepolo - Antroposofia
CITAZIONE (Pierfrancesco:-) @ 19/6/2014, 23:28) 
In verità devo confermare che da quando ho iniziato a praticare dello sport (calcetto settimanalmente) ho notato, ma solo ora me ne rendo conto, un miglioramento nel fisico, ma un quasi azzeramento dei sogni, delle immaginazioni e di conseguenza, dell'attività artistica (pittura e poesia), nonostante gli esercizi di concentrazione fossero stati regolari.

Dapprima lo avevo attribuito al fatto che, essendo passato dalle letture di Steiner a quelle di Scaligero, la componente immaginativa che scaturiva dalla lettura ed immersione nelle cosmiche visioni di Steiner, aveva trovato un arresto, con la lettura di Scaligero, più asciutto e dedito quasi esclusivamente alla concentrazione. Quindi consideravo questa "regressione" come una sorta di percorso necessario, che da una coscienza immaginativa (atavica), doveva scomparire per poi riapparire in seguito a navigati esercizi di concentrazione.

CITAZIONE (dottormistero @ 20/6/2014, 18:23) 
Un'altra cosa però ci coinvolge assai più che l'esercizio fisico, ed è l'aderire della psiche alle novità, piacevoli o spiacevoli che siano.

Un saluto a tutti, riparto da queste citazioni per iniziare un nuovo topic, convinto che la questione dello sport era secondaria.

Lunedì sera mi è capitato di leggere questo brano di Steiner:

CITAZIONE
Rudolf Steiner - Sulla via dell'Iniziazione, pag.122-123.
La vita chiaroveggente si distingue inoltre nel suo decorso dalla vita ordinaria dell'anima per alcune caratteristiche importanti. Nella vita ordinaria l'esercizio, l'abitudine svolgono un ruolo fecondo. Chi eseguisce ripetutamente una certa attività, aumenta la propria capacità di svolgerla abilmente. Come sarebbe possibile un progresso nella vita, nell'arte, se non si potesse conseguire mediante l'esercizio un tale accrescimento della nostra abilità? Tuttavia questa regola non vale per l'acquisizione della veggenza soprasensibile.

Chi ha fatto un'esperienza soprasensibile, non è per questo diventato più abile per farla una seconda volta. Il fatto di avere avuto un'esperienza rappresenta una ragione per cui essa tenda ad allontanarsi da lui, in un certo senso ad evitarlo.

Egli dovrà ricorrere a operazioni particolari dell'anima che gli conferiscano, ai fini di una ripetizione dell'esperienza, una forza maggiore di quella che gli era stata necessaria per avere quell'esperienza la prima volta.

Il fatto ora menzionato è spesso fonte di gravi delusioni per il principiante sulla via soprasensibile dell'anima. Con adeguati esercizi, indirizzati al rafforzamento dell'anima quale è stato accennato nel presente scritto, è relativamente facile fare certe prime esperienze soprasensibili. Ci si rallegra allora per il progresso compiuto; ma ben presto ci si accorge che le medesime esperienze non si ripetono più. In questo caso ci si sente vuoti nell'anima, nei confronti del soprasensibile.

Ciò che importa è rendersi conto che gli stessi sforzi che la prima volta hanno condotto al risultato voluto, non servono la seconda volta: ne occorrono altri, maggiori e spesso del tutto differenti. Bisogna appunto conquistarsi la conoscenza che le leggi dello sperimentare soprasensibile sono in molti casi diverse, e talora opposte a quelle fisiche.

D'altra parte bisogna guardarsi bene dal concluderne che si possa acquistare qualche conoscenza dell'esperienza soprasensibile, immaginandosene sempre i processi come l'inverso di quelli materiali. Solo l'esperienza caso per caso sul piano sovrasensibile potrà chiarire come stanno effettivamente le cose.

In passato, leggendo il libro "La via Solare" di Franco Giovi, mi ero persuaso che l'atleta fosse la tipologia di persona più vicina al percorso inziatico donato da Rudolf Steiner. Colui che si spinge sempre più al limite estremo delle sue possibilità.

In realtà la figura dell'atleta, nel mio inconscio, significava più che altro, uno sportivo che sta sempre in allenamento, ma non si spinge mai al limite estremo delle sue possiblità. L'atleta era per me, uno abituato a correre, così abbastanz atonico da non provare più fatica nel farlo. Ma tale inconscia visione, ha cozzato con la lettura di qui sopra.

Non tanto "le novità" accennate da Cosimo, hanno interrotto le prime esperienze soprasensibili, ma l'abitudine. Il fare e rifare l'esecizio della concentrazione, ha fatto sì che mi abituassi a certe dinamiche, così tanto da trovale abbastanza naturali, e quindi la "forza" necessaria a riprodurre le esperienze sovrasensibili, diventava minore. Ora mi sembra di ripercorrere con nuova luce i miei ultimi 2 anni di esercizi, e riesco a vedere prorpio questo: la forza prodotta durante l'esercizio è andata progressivamente diminuendo, mentre l'esercizio continuava a essere fatto secondo il canone, ma l'esperienza soprasensiblie non si verificava più.

Grandi delusioni per questo principiante, nel constatare che l'esperienza sovrasensiblie era sparita. E invana è stata il ripetere tutte le mattine l'esercizio dell concentrazione, come un'abitudine. Lo stesso Scaligero, secondo quanto scrive nella sua autobiografia, ha avuto la decisiva apertura, durante il periodo di carcere, in cui le condizioni dell'esistenza lo hanno posto di fronte a una pressione eccezionale e quella stessa pressione/disperazione, incanalata nella concentrazione, forse ha permesso l'esperienza sovrasensibile.

Mi viene allora da pensare che la via tracciata da Steiner e Scaligero, è una impostazione di base necessaria, alla quale deve essere abbinata "caso per caso" un'azione del destino, specialmente nel momento in cui, di orientatori come loro, che sappiano distinguere "caso per caso" e quindi dove far trovare le forze di volta in volta necessarie, c'è ne sono pochi.

Un saluto a tutti

Pierfrancesco
view post Posted: 20/6/2014, 10:31 Pensieri sullo Sport - Antroposofia
Leggendo l'articolo di Gragorat, comunque devo dire che ho percepito un pessimismo che da una parte ci mette a conoscenza della situazione, ma dall'altra non porta una via di soluzione. Mi sebra che si possa riassumere con il concetto: il mondo si è ormai avviato verso la via dell'auto distruzione, e non si trovano le forze per un cambio di rotta.

Ma questa maniera di argomentare è monca. Manca la parte costruttiva. Così stamattina mi è tornata alla mente un articolo di Antonio Socci (giornalista cattolico) che avevo letto qualche giorno fa: I MONDIALI DI CALCIO SECONDO RATZINGER. ALLA RICERCA DEL PARADISO NEL CAMPO DI CALCIO. E POI LEOPARDI, AGOSTINO, KEROUAC, MARSHALL E IL GIOVANOTTO CHE BUSSA AL BORDELLO….

In quest'altro articolo viene citato un libro di Joseph Ratzinger: Cercate le cose di lassù. Riflessioni per tutto l'anno.

In queste citazioni, Ratzinger capovolge la struttura pessimista utilizzata da chi si pone come Gregorat (ed io mi ci metto in mezzo), cercando di trovare la parte positiva, ovvero l'ex papa, trova (come riesce sempre a fare Massimo Scaligero, ad esempio in Meditazione e Miracolo), il perno su cui poggiare per la ripartenza.

CITAZIONE
“Si potrebbe rispondere, facendo ancora riferimento alla Roma antica, che la richiesta di pane e gioco era in realtà l’espressione del desiderio di una vita paradisiaca, di una vita di sazietà senza affanni e di una libertà appagata”.

Infatti il “gioco” in fondo è questo, “un’azione completamente libera, senza scopo e senza costrizione, che al tempo stesso impegna e occupa tutte le forze dell’uomo. In questo senso il gioco sarebbe una sorta di tentato ritorno al Paradiso: l’evasione dalla serietà schiavizzante della vita quotidiana e della necessità di guadagnarsi il pane, per vivere la libera serietà di ciò che non è obbligatorio e perciò è bello”.

Dunque ciò che vi cerchiamo è “più che un po’ di divertimento”, è un mondo dove “l’uomo non vive di solo pane, il mondo del pane è solo il preludio della vera umanità, del mondo della libertà”.

Naturalmente Scaligero è insuperabile in questa abilità, ma vedo lo stesso trend in questi pensieri di Ratzinger e non in quest'articolo di Gregorat.

Buona giornata

Pierfrancesco
view post Posted: 19/6/2014, 22:28 Pensieri sullo Sport - Antroposofia
Oggi mi è capitato di leggere un articolo di Claudio Gregorat riguardante dei Pensieri sullo sport (articolo di cui consiglio la lettura), citava anche varie conferenze di Steiner e tra queste sono stato alquanto impressionato dalle seguenti frasi:

CITAZIONE
Rudolf Steiner - 13^ conferenza di Antropologia.
La nostra pretesa di fare dello sport, dove non solo si eseguono movimenti privi di senso e puramente fisici, ma dove si sviluppa il senso della rivalità, dell’opposizione, corrisponde allo sforzo di abbassare l’uomo a possedere che una sensibilità animale. Un’attività sportiva esagerata si può chiamare “darwinismo pratico”. Il credere che l’uomo discenda dagli animali significa fare del “darwinismo teorico” Fare dello sport è invece “darwinismo pratico”. Significa fondare una morale che riconduce l’uomo al rango degli animali.

CITAZIONE
Rudolf Steiner - Ritmi nel cosmo e nell’essere umano.
Il risultato dello sport è che l’uomo esce del tutto dal corpo eterico e segue solo i movimenti fisici della terra, diventando sempre più affine ad essa e allontanandosi dal mondo spirituale...

La generale inclinazione dell’occidente di staccarsi del tutto dal corpo eterico e di curare solo il corpo fisico rappresenta l’aspetto peggiore del materialismo, quello veramente pericoloso.. Il materialismo del pensiero non è il più dannoso. Lo è invece quello che porta l’uomo intero a degradarsi fino allo stadio animale.

CITAZIONE
Rudolf Steiner - Storia dell’arte specchio di impulsi spirituali (vol.4).
Da un lato si lavora per comprendere l’uomo solo come una "scimmia più perfetta" e dall’altro si tende a farne una "scimmia carnivora", grazie alle esigenze che per molti aspetti si designano come "sportive". Le due cose vanno comunque parallele, anche se, ovviamente, oggi si vede negli sport un grande progresso - e in alcuni casi persino il rivivere l’antica Grecia - pure le esigenze sportive nella loro essenza, altro non sono che una tendenza a rendere il genere umano simile alla scimmia. A causa dello sport l’uomo diventa a poco a poco scimmiesco, e lo si distingue dalla vera scimmia perché questa è vegetariana, mentre l’uomo scimmiesco diventa una "scimmia carnivora".

Beh sono considerazioni molto forti, che vanno contestualizzate, e rimando i lettori alle conferenze da cui sono state tratte, ma comunque si possono fare già delle prime considerazioni.

In verità devo confermare che da quando ho iniziato a praticare dello sport (calcetto settimanalmente) ho notato, ma solo ora me ne rendo conto, un miglioramento nel fisico, ma un quasi azzeramento dei sogni, delle immaginazioni e di conseguenza, dell'attività artistica (pittura e poesia), nonostante gli esercizi di concentrazione fossero stati regolari.

Dapprima lo avevo attribuito al fatto che, essendo passato dalle letture di Steiner a quelle di Scaligero, la componente immaginativa che scaturiva dalla lettura ed immersione nelle cosmiche visioni di Steiner, aveva trovato un arresto, con la lettura di Scaligero, più asciutto e dedito quasi esclusivamente alla concentrazione. Quindi consideravo questa "regressione" come una sorta di percorso necessario, che da una coscienza immaginativa (atavica), doveva scomparire per poi riapparire in seguito a navigati esercizi di concentrazione.

Ma questa cosa dello sport mi sta rimescolando le carte

Un'altro motivo a cui attribuisco quella regressione animica, è quello di una alta pressione venosa. Ovvero a volte sentivo il sangue così "incastrato" nel corpo fisico, da non permettere al corpo eterico di "sganciarsi" e permettere quelle esperienze possibili solo ad esempio in vecchiaia, quando il corpo fisico ormai vecchio, lascia sempre più api spazi al corpo eterico.

Che ne pensate?

Pierfrancesco
view post Posted: 9/6/2014, 15:45 Domande su alcuni gruppi di Roma - Attualità
CITAZIONE
Non stiamo andando verso una catastrofe, stiamo procedendo verso una Luce;

Grazie Cosimo per queste parole, capovolgono tutto lo scenario!

E l'esempio che hai riportato, è quanto di più significabile potessi dire. Hai centrato il punto della situazione: rovistando con lo sguardo sulla pelle del serpente, non ci si accorge dee nuovi orizzonti.

Certo sarà difficile lasciare le vecchie abitudini, così intessute nelle mie rappresentazioni, ma bisogna provare, altro non c'è.

nike-air-force-cobra-head-snakeskin-custom-nycesociety-4
view post Posted: 6/6/2014, 13:31 Domande su alcuni gruppi di Roma - Attualità
Ciao Cosimo,

grazie per quello che dici, ma il mio karma è un po diverso e non ho ancora sviluppato la statura per cambiarlo.

In compenso sono andato a vedere il sito eastandwest.info, ho letto in particolar maniera la pagina dei retroscena che il fondatore dell'iniziativa propone come chiave di lettura del presente.

Devo dire che mi ha molto colpito e inquietato. Uno dietro l'altro, quei fatti fanno pensare che per l'umanità non ci siano molte speranze, al di fuori di una seconda Atlantide. E mi domando se ci si possa fidare di questa metodologia operativa. Mi domando se queste immagini dei retroscena che fanno da sfondo alla meditazione, non la inficino. In fondo questo Mark Willan, non sta forse riproponendo le stesse dinamiche utilizzate delle sette a cui fa riferimento, in quanto recrutatrici delle schiere di ahrimane? Non propone anche lui una visione di imminente tragedia con cui coagulare vicino a sé una schiera di anime impaurite e le loro energie meditative?

Ricordo una lontana lettura di Steiner (forse Il movimento occulto nel secolo diciannovesimo e il mondo della cultura (OO 254) oppure I retroscena spirituali del mondo esteriore. La caduta degli spiriti delle tenebre (OO 177)), in cui si faceva riferimento a delle tecniche usate da alcuni occultisti, nell'utilizzare la devozione dei loro adepti ad esempio per i loro defunti o per il fondatore (defunto) del gruppo, per vivificare e potenziare uno specifico egregor.

Non so che pensare. Sono solo dei primi pensieri che mi sono venuti in mente leggendo quelle righe. Magari qualcuno di voi conosce il fondatore dell'iniziativa (avendo egli frequentato Massimo Scaligero) e può forse rettificare queste mie preoccupazioni. Mi rendo conto che un corretto esercizio della positività e della spregiudicatezza, dovrebbe mettermi nello stato d'animo utile ad inizare domani alle 17:00 una prova e a verificarne personalemente i risultati.

E' anche vero che se non usciamo mai dal nostro fazzoletto di esperienze, se non allarghiamo gli occhi alle grandi responsabilità che questo terzo millennio ci squaderna, rischiamo di rimanere immobili, e chiusi nel nostro piccolo mondo.

Mah sono confuso!

Che ne pensate voi?

Pierfrancesco
view post Posted: 4/6/2014, 15:14 Domande su alcuni gruppi di Roma - Attualità
Salve signori,

ma chi ha proposto questa meditazione globale ... a quale scopo? Sicuramente è una bella cosa, ma mi piacerebbe sapere da dove proviene l'iniziativa.

Pierfrancesco :rolleyes: :unsure: :blink:
view post Posted: 3/6/2014, 20:46 Domande su alcuni gruppi di Roma - Attualità
Ciao Sandro, io non so rispondere. So solo che vicino Pasqua, sono andato ad una riunione ad una scuola che si chiamava arcobaleno, in cui insegnava una certa Gabriella la euritmia che Mimma aveva lasciato come eredità, un poco diversa da quella che si insegna nelle associazioni collegate alla S.A..

Dicevo che verso Pasqua di quest'anno, il marito della signora Gabriella, ha riunito circa una sessantina di Scaligeriani di vecchia data, io credevo per fare un punto della situazione, dopo la morte di Rubino, ma si è letta solamente una lettura di Steiner, poi una meditazione e ci si è salutati.

Mi sembra (ma posso sbagliare) che non si senta più quella gravità della situazione in cui il materialismo sta trascinando a sé tutte le cose. A giugno i vari gruppi si lasciano per poi riprendere a ottobre. In fondo i fine settimana al mare sono ancora più allettanti. Non lo dico per criticare, anche io mi sono rilassato su questa situazione, guardando dalla finestra eventuali sviluppi del mondo antroposofico e non.

Il divisore (dia-ballo), pare abbia realizzato il suo scopo: "divide et impera".

Ripenso con rammarico alle parole di Lucio Russo:
CITAZIONE
Nel suo piccolo studio, modesto e luminoso, Massimo ha testimoniato, con la sua stessa vita, l’assoluta abnegazione richiesta dal compito. Neppure d’estate, quando quasi tutti si concedono un meritato riposo, interrompeva i suoi incontri e colloqui. Una volta, era un pomeriggio di metà agosto, si rese necessario anticipare il nostro incontro alle 15. Giunsi puntuale. Mi accolse come sempre sorridente, mi fece sedere e poi, raggiunto il suo posto, dietro una piccola scrivania sempre ricolma di libri e carte, guardandomi disse: [color:blue]“Fintantoché ci saranno due persone che s’incontrano alle 15 di Ferragosto per parlare dello spirito, la vittoria è sicura”.[/color]

Poi rileggo le parole con cui Scaligero incalzava i suoi amici:
CITAZIONE
Dall'archetipo di Giugno 2014
L'azione richiesta come donazione sacrificale quotidiana, per i migliori che lottano in pericolo continuo, è vasta, impegnata, senza respiro.

E vedo che tutti i propositi e l'impegno profusi in quaresima, dopo la Pasqua si sfilacciano... arriva Pentecoste e lo Spirito Santo mi troverà ad aspettarlo?

E lontane suonano anche le parole di Paolo di domenica scorsa:
CITAZIONE
Ef 1,17
Fratelli, il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati...

Ma poi ripenso se le parole di Gesù a chi aveva avuto la forza di andare fino in Galilea, sul monte che Egli aveva indicato, siano ancora attuali:
CITAZIONE
Mt 28,16-20
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Ma Gesù non aveva indicato nessun monte... Forse il monte è proprio quel luogo sopra elevato dove è possibile staccarsi dal contingente, è il luogo della concentrazione?

Edited by Pierfrancesco:-) - 3/6/2014, 22:29
view post Posted: 26/5/2014, 14:37 Ancora una conferenza sul Natale? - Attualità
Grazie Cosimo,

queste informazioni, confermano quello che avevo percepito, come assonanza tra la predicazione di Giovanni Vannucci e la via del pensiero di Steiner. Naturalmente con una coloritura differente, ma ognuno porta nel mondo ciò a cui è collegato karmicamente.

A volte mi sono chiesto, se (come dice Isidoro e Savitri) se io stia portando avanti una mia antroposofia, snaturando o perlomeno deformando, la via definita dai grandi maestri. Ma poi penso che, per forza di cose, nel mio vivere, l'opera dei maestri (assoluta e ideale) prende una forma particolare, magari brutta.

Credo che l'unica istanza che possa salvarci, da una colpa troppo grande per le nostre spalle (ovvero dalla colpa di snaturare il messaggio del Cristo), sia solo l'intensione con cui si vogliono utilizzare le parole dei maestri. Ovvero il desiderio cosciente.

Desiderio di essere vicino a coloro che seguono il nostro percorso, almeno in una parte sufficientemente comune, affinché riescano a comprendere con un po di sforzo, ciò che stiamo dicendo. Per il resto ci penserà il karma o gli esercizi, a renderci coscienti di quell'altra parte a cui oggi non abbiamo accesso.

Ad esempio a volte mi sono chiesto se fino ad oggi, sono stato un buon padre con i miei figli, e ripercorrendo velocemente i miei comportamenti fino ad oggi, posso solo dire di aver fallito su molti fronti, di aver contribuito a che quelli siano cresciuti con molte delle mie paure e insufficienze. Ma poi mi dico che se prendo come punto di riferimento, un ideale troppo alto per le mie possibilità, e solo a quello fare riferimento, non faccio altro che alienarmi dalla mia realtà. Il punto di partenza non è il punto di arrivo. Dalla mia specifica realtà, da questa solo, posso partire e dal desiderio di arrivare a quella mèta. Per il resto non posso che affidarmi al Signore del Karma, che provvederà Lui laddove non sono arrivato io.

Nelle parole di Gesù Cristo, ricordate ieri dalla chiesa cattolica, c'è la frase "Se mi amate osserverete i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre ...". Quali sono i suoi comandamenti? Non sono forse quello della mitezza, della povertà di spirito, della misericordia, quello di essere operatori di pace ecc.?

Così ci si potrebbe dire, che c'è una falsa mitezza, una falsa misericordia ecc., false perché, moti dell'anima razionale-affettiva e quindi soggetti al servaggio al corpo fisico e non puri. Ma nonostante possano effettivamente nascere dall'anima sottomessa al corpo fisico, il fatto di mettere in pratica quei comportamenti, necessita di uno sforzo imponente, possibile solo se coadiuvati dallo spirito.

Tutto questo per dire che non si può giudicare un Padre Giovanni Vannucci, in quanto facente parte della chiesa cattolica e che magari ha utilizzato la via della scienza dello spirito per camminare in quella via secondo la sua colorazione. In quanto solo Cristo è la Via la Verità e la Vita, gli esercizi sono la tecnica più attuale, l'aiuto più efficace, affinché ognuno possa compiere nel quotidiano atti di amore nei confronti dell'uomo. In assenza degli esercizi, c'è il karma che aiuta.

Per questo non posso accettare la frase riportata da Hugo de Paganis, dettagli da Massimo Scaligero:
CITAZIONE
Hugo de Paganis in Ecoantroposophia:
Peccato che in colloqui personali, e in lettere – che conservo come un piccolo personale e prezioso tesoro – Massimo Scaligero mi dicesse e mi scrivesse esattamente il contrario di quanto costoro affermano, e aggiungesse con tagliente severità: «Ricordati: prima o poi tutti i traditori dello Spirito finiscono nelle braccia della Chiesa Cattolica».

Forse anche questa un'altro degli slogan esoterici estrapolato dal suo contesto?
view post Posted: 30/4/2014, 10:10 Perché fondare una Libera Associazione Per L'Antroposofia? - Antroposofia
Sulle motivazioni per cui credo valga la pena di aderire ad una Libera Associazione per l'Antroposofia c'è a mio parere quella del confronto. Claudio Gregorat ha descritto in un articolo che ho letto ieri sul sito rudolfsteiner.it, "Il Dramma dell'Iniziazione", ovvero la rinuncia a proseguire il cammino spirituale.

CITAZIONE
L’uomo aspira alla conoscenza di sé e del mondo e, dal momento che né la scienza né la religione gli offrono sufficienti rappresentazioni e concetti, il suo anelito lo spinge verso l’autoconoscenza che si consegue per mezzo dell’Iniziazione: ma ecco che si scontra subito contro difficoltà insormontabili. Nel procedere per mezzo di concentrazioni, meditazioni, esercizi vari, si accorge per esperienza propria, che molto obiettivi di carattere logico, estetico e morale, non potranno venir mai raggiunti, in quanto, esaminandosi spassionatamente, constata innanzitutto di non sapere quasi nulla di se stesso e quel poco che sa, non raggiunge mai la verità, poiché l’amor proprio si oppone tenacemente; e pur sapendo di essere un insieme di errori di varia natura, non è disposto a rinunciarvi. L’anelito verso la conoscenza dello spirito si scontra con le inclinazioni innate - che comunque reputa inaccettabili - che gli appaiono di dimensioni enormi e che ora incombono sull’ anima creando angoscia e smarrimento.

Le esperienze che fa a motivo di esercizi vari, gli mostrano come il mondo spirituale elementare entro il quale si trova, non lo accoglie ed anzi lo respinge quale un errore che in esso non può esistere: questo è causa di dolore.
La constatazione che un difetto qualsiasi non si modifica che in minima misura e non si può rimuovere né modificare in questa presente vita, è motivo di sconforto: e spesso si affaccia lo spettro della rinuncia: a che pro tanta fatica per risultati pressoché insufficienti ? Così si affaccia l’idea e la convinzione di essere certamente una persona di valore, che si conferma nella constatazione di certe virtù evidenti, che però occultano il proprio vero essere.

I rapporti con gli altri uomini sono basati, in realtà, sulla menzogna, poiché là dove si credeva di nutrire rispetto e benevolenza, si mostrano ora nella maschera dell’avversione se non dell’invidia e dell’odio, prima occultati dalle convenzioni esteriori superficiali e fittizie. L’autoconoscenza svela tali aspetti interiori. L’amor proprio, la suscettibilità che si sostanzia con l’orgoglio e la presunzione, feriti a morte sia pure da giudizi oggettivi e benevoli, reagiscono in modo istantaneo, o con un gelido rifiuto, o con un’esplosione incontrollata di collera. La propria bruttezza permane e non si tramuta in bellezza, in quanto non si riesce a modificare, poiché non si riconosce e se ne attribuisce ad altri la colpa.

L’iniziazione pone tutto questo in oggettivo rilievo e, come primo passo, magari si riconosce la posizione errata: ma non tanto da condurre ad una ammissione pubblica, almeno dinanzi a persone amiche: cosa di grande importanza. E così anche la constatazione più o meno consapevole di questo stato di cose, è motivo di sofferenza. Ci si trova dinanzi a due condizioni: il riconoscimento della propria pochezza e l’impotenza per uscirne. In aggiunta sorge un timore molto preoccupante: che in un momento qualsiasi e per qualsiasi motivo, le facoltà tenute fin qui a bada, possano esplodere senza controllo manifestandosi nella loro vera realtà. Ciò è sconvolgente e tormentoso.

In questa condizione così particolare, si sente il rifiuto del mondo spirituale oggettivo ad accogliere un errore vivente come noi stessi. Soggettivamente si sa che per potervi entrare in modo legittimo, si dovrebbe procedere ad una sorta di amputazione dolorosa, in quanto sminuisce la propria personalità conquistata con tanta fatica. Si dovrebbe abbandonare tutto ciò che si è: e cosa rimarrebbe ? un nulla !

Nel processo di visualizzazione delle proprie varie negatività, si tenta di oggettivarle assommandole in una sorta di figura spettrale che formiamo noi stessi come motivo autoconoscitivo: fantasma severo che si pone come vivente rimprovero, al quale dobbiamo continuamente ritornare onde correggerlo. Esattamente l’opposto del ritratto di Dorian Gray, e cioè tentare di migliorarlo, nobilitarlo. Non è ancora il caso del Piccolo Guardiano, figura che condensa in sé tutte le negatività delle passate incarnazioni, ma solo di questa presente.

Ed ora, se ci si chiede come ci si presenta al mondo, con quale veste, viso, figura ? si deve anche convenire che presentiamo una maschera e non il nostro vero volto. Questo dovrebbe lasciar trasparire tutto ciò che è istinto, inclinazione, desiderio, ideale, necessità, fanatismo ecc. Invece no, presentiamo una maschera di convenienza, vale a dire una menzogna. Un po’ come l’abito che occulta tutte le disarmonie del corpo e lo presenta accettabile – per fortuna – ma non vero. Ecco così la necessità di un esame accurato onde rimuovere gli aspetti negativi possibili.

E qui ora tale menzogna si sposa a quella della società contemporanea sostanziata di falsità, opportunismo, egoismo spietato: in una parola menzogna. Menzogna che traspare da tutti i giornali, trasmissioni TV, conferenze, relazioni, servizi, parlamento, diplomazia, e così via. Pensiamo un attimo all'intrico di menzogne palesi della vita politica, per raggiungere il potere.

Citiamo un passo di Rudolf Steiner a proposito delle “menzogne della vita”:
Effettivamente siamo immersi in un fenomeno della vita attuale che dobbiamo considerare con l’anima chiaramente e nitidamente e in tutta la sua profondità. Dobbiamo avere il coraggio di guardare con chiara coscienza a queste menzogne della vita: e guardando le cose chiaramente, dobbiamo trovare la forza di mantenerci saldi di fronte a tutto ciò che fluisce da ogni parte e che – pur essendo spesso mascherato e nascosto da un lato o dall'altro - ha origine, tuttavia, da questa menzogna.

Nella divulgazione scientifica è opportuno procedere sempre alla revisione e controllo di quanto viene pubblicato: la verifica è sempre necessaria, a cominciare dalle false immagini e rappresentazioni imposte dalla scuola, come l’origine animale dell’uomo, la dottrina dei colori di Newton, la formazione del sistema solare, le tante teorie scientifiche che mutano continuamente, le rigide posizioni mediche, quelle altrettanto rigide legate alla religione, quindi tutta la dogmatica scientifica e religiosa, che offre solo una falsa facciata invece della verità dei fenomeni.

Di tutto questo è sostanziata la nostra personalità che viene respinta dal mondo superiore. Dolore e sconforto per la constatazione di quanto si deve rinunciare! e qui l’anima arretra e rinuncia alla conoscenza di sé così dolorosa. La paura dinanzi all'ignoto suo essere, ha il sopravvento.

Pur tuttavia l’immagine così negativa di sé richiama una volontà più profonda che spinge, magari ricominciando sempre da capo e osservando scrupolosamente ogni moto interiore giudicandolo nella “sua” realtà. E’ come togliersi una maschera. Ecco un motivo accettabile: in luogo di amputazioni varie, riconoscere ad una ad una le tante maschere ed eliminarle trasformandole. Questo proposito riesce più accettabile all’amor proprio. Constatata la bruttezza del proprio essere, si può procede - magari lentamente per maggior sicurezza – al suo abbellimento estetico e morale.

Così l’incontro col Guardiano viene rimandato a tempi più favorevoli: quando ci si potrà guardare allo specchio e non scorgere più il demone beffardo che traspare agli angoli degli occhi. Per prima cosa deve guadarsi intorno e scorgere la caricatura di quanto invece dovrebbe avere il volto della verità: e liberarsi dallo stato fossile di tante cose che gli stanno intorno. Innanzitutto la bellezza della natura e del mondo e scorgere il mistero che essi ancora nascondono e che attende di venire liberata, svelata. E questo mistero, questo ignoto non deve essere di impedimento ma di stimolo a volerlo raggiungere e conoscere.
[n.d.r. non si capisce bene dove finisca la citazione]

Le migliaia di esseri viventi che non si scorgono per la nostra ottusità e cecità, attendono da noi la loro liberazione e innanzitutto di venire conosciuti e riconosciuti: questo conferirà il coraggio necessario per superare l’abisso dell’ignoto e del mistero.

Ma prima cosa è il “riconoscimento del varo stato in cui ci si trova”. Diversamente si soggiace ad una illusione. Molto illuminanti sono le parole che il Grande Guardiano rivolge a Giovanni Tomasio nel terzo dramma-mistero di Rudolf Steiner:

Tomasio, rifletti dunque su quel che sai.
Ciò che vive al di là di questa soglia
Ti è del tutto sconosciuto.
Ti è invece familiare ciò che ti devo richiedere
Prima che tu possa entrare in questo regno.
Dovrai separarti da molte forze
che ti eri conquistato nel corpo terreno
…………………………
Proprio questo, però, hai gettato via
E lo hai dato in proprietà ad Arimane.
Ciò che resta adesso, per i mondi soprasensibili
Te lo ha corrotto Lucifero
E io te lo devo togliere al passaggio alla soglia
……………………….
Così non ti rimane più nulla
Se ti vorrai trovare nello spirito
Sarai un essere senza essenza


Qui ora si presenta una situazione che oggi si presenta in modo massiccio ed è difficile da dirimere: l’influenza di Arimane e di Lucifero nella nostra vita. Quella di Arimane è esterna e quindi visibile e ben percepibile nei suoi effetti che sono posti davanti ai nostri occhi. Non così quella di Lucifero ben più subdola, la quale, come si è visto sopra, si nasconde fra le pieghe dell’anima, suscitando illusioni su illusioni. Quanti mai scontri fra persone si verificano ad ogni momento, a motivo della personalità che si vuole imporre a tutti i costi ottenebrando il buon senso e la ragione: e ciò avviene anche fra le persone migliori, come si è potuto constatare spesso. Letteralmente Lucifero pone un velo – che a volte è una parete impenetrabile – davanti ai nostri occhi e ci impedisce di riconoscere l’evidenza ! Nei confronti dell’elemento arimanico si può dire che siamo abbastanza attrezzati per riconoscerlo e renderlo innocuo: ma non così per l’elemento luciferico che, quale serpente giustamente, si insinua nell'anima rendendola cieca e sorda !

E questo pericolo, questa influenza è ben più difficile da riconoscere di quanto si crede. Ed è motivo di divisioni su divisioni, lotte e scontri deleteri, che bloccano ogni buona intenzione ed iniziativa. E ancora molto interessante conoscere le parole che Lucifero pronuncia nel secondo dramma-mistero “La prova dell’anima”
e quando gli uomini si dividono È già pronto il campo d’azione della mia potenza.

E bisogna ribadire che solo per via di un autoconoscenza spassionata ed oggettiva – a volte molto sofferta – questo elemento può essere reso innocuo: cosa che ognuno tenta di attuare.

Spesso non si notano progressi nella disciplina occulta propri a motivo di questo “grumi passionali” diventati quasi organici ereditati o anche acquisiti, come deformazioni istintive facente parti della personalità e dei quali non ci si accorge e quindi si rimane fermi nonostante la volontà di uscirne. I più pericolosi sono le idee-pensieri divenuti parte di noi stessi, pensieri e idee non giusti, che sono sempre presenti come ostacoli insormontabili: pensieri, concetti legati al cervello, costituenti il cervello che bisogna lasciar cadere al fine di raggiungere la liberazione da essi, e l’acquisizione di ulteriori concetti, idee, rappresentazioni più valide e consone al proposito basilare e su questi e con questi lavorare.

E in seguito, dopo aver tanto seriamente lavorato e quasi in attesa di una qualche illuminazione, è saggio tentare di attuare la giusta posizione da assumere, sintetizzata dalle parole pronunciate da Felice Balde nello stesso dramma:

Non aspirare a nulla,
essere solo calmo e pieno di pace
tutto attesa nell'intimo essere dell’anima.
Questo è l’atteggiamento mistico.

Ora la via diviene più chiara ed accessibile, conoscendo quanto l’iniziazione comporta:
“Fare ciò che è giusto e attendere che il mondo dello Spirito si riveli al momento giusto”.

La base di partenza per un qualsiasi tipo di cambiamento, è una corretta analisi della situazione attuale. Per prima cosa tale analisi va effettuata nei confronti di se stessi. Quanti inganni gioca la nostra anima alla nostra mente. Solo un vero confronto con l'altro può portare alla luce determinati aspetti del nostro carattere, del nostro modo di pensare, dei nostri automatismi inconsci.

Una delle motivazioni principali che secondo me hanno determinato la frammentazione, ma soprattutto l'immobilizzazione del movimento antroposofico, è che le persone che ne facevano parte, non avevano una giusta visione dei propri punti d'ombra. Si dice che è stato il karma non risolto di vite precedenti a provocare i disastri, ma che cosa è l'azione del karma se non una mancata presa si coscienza dei propri punti oscuri?

La via antroposofica, credo che dia delle chiavi di risoluzione a questi problemi, che sono i tre esercizi di equanimità, positività e spregiudicatezza. Ma tali esercizi, vanno effettuati nel quotidiano confronto con l'altro, non si fanno da soli come i primi due. E il confronto, con amici o nemici, illumina tante di queste ombre. Inoltre il confronto con gli altri aiuta nell'esortazione vicendevole nei momenti in cui l'anima vacilla. E l'anima vacillerà davanti al Guardiano della Soglia. Cosicché alcuni, che sarebbero pronti per affrontarlo, non ne hanno il coraggio, in quanto hanno sperimentato la propria solitudine di fronte a quel mostro, e hanno indietreggiato.

Sicuramente il Guardiano va affrontato nella propria interiorità, e li si è da soli davanti a mondo spirituale, ma la presenza di amici che hanno il nostro stesso dilemma, che provano le stesse nostre emozioni, che capiscono quello che sentiamo nell'anima, ci conforta e ci stimola.

Rudolf Steiner aveva detto che nel Movimento Antroposofico (o Società Antroposofica, ora non ricordo bene) sarebbero confluiti coloro che per karma avevano avuto una infarinatura pre-natale, nella scuola si Michele nei cieli.

Ora la domanda è, sarà possibile tramite questa libera associazione, riunire coloro che, anche se karmicamente distanti tra loro, sentono una affinità con l'antroposofia?

Buona giornata Pierfrancesco
view post Posted: 30/4/2014, 08:49 Perché fondare una Libera Associazione Per L'Antroposofia? - Antroposofia
Ciao Lorenzo, ho letto il tuo commento sul sito dell'associazione, e devo dire che anche io ho avuto quel pensiero. Ho conosciuto Fabrizio di sfuggita in un post conferenza alla sede della S.A. di Roma, e ne ho avuta una piacevole impressione.

Ma poi ho constatato che a seguito di quel proclama di qualche mese fa, non ci sono stati particolari seguiti. In effetti non sono ben chiare le differenze tra l'Associazione con la S.A.Italiana, tranne che nel fatto che nella nuova associazione, non ci saranno iscrizioni o tessere, ma solo il desiderio di promuovere l'antroposofia.

CITAZIONE
La divisione del lavoro spirituale dalla normale prassi associativa è un tentativo di trarre le dovute conseguenze dalle molteplici esperienze del passato, che sono risultate dal collegamento di questi due distinti ambiti.

Sembrerebbe un fare un passetto indietro a quanto aveva proposto Steiner, fondando la S.A.Universale, dopo aver constatato la sclerotizzazione di questa, e riprovando di nuovo, snellendo la struttura?

Comunque credo che il fattore determinante sia la presenza di Judith von Halle. Senza di lei, non si sarebbe creata. Potrebbe anche essere considerata una specie di censimento antroposofico, per avere delle carte in più da giocare nella S.A.U.? Di fatto qui in Italia, dove la Von Halle non è particolamente conosciuta, non mi sembra di trovare motivazioni importanti per questa nuova cosa.

Comunque a me fa piacere che ci sia stata questa proposta. Fabrizio dovrebbe trovare un punto di unione per coloro che si sentono collegati al movimento antroposofico, per riunirci e parlare su come procedere per il futuro dell'antoposofia. Bastano gli attuali gruppi e gruppetti? Morti gli ultimi veterani, ci sarà un passaggio alle nuove generazioni? Che cosa vogliamo chiedere al mondo spirituale? Che cosa possiamo fare per il mondo attuale?

Su queste e altre domande mi piacerebbe confrontarci in questa Libera Associazione per l'Antroposofia.
144 replies since 12/10/2010